Lavoratori subordinati, collaborazioni coordinate eterorganizzate e collaborazioni coordinate continuative: per il Tribunale di Roma ai collaboratori outbound non si applicano le tutele del rapporto di lavoro subordinato
- 9 Settembre 2019
- Avv. Francesco Meiffret
- Legal Blog
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Lavoratori subordinati, collaborazioni coordinate eterorganizzate e collaborazioni coordinate continuative: per il Tribunale di Roma ai collaboratori outbound non si applicano le tutele del rapporto di lavoro subordinato
Trib. Roma sent. n. 4243 del 2019
La sentenza commentata (Trib Roma, sent. 6 maggio 2019) esclude l’applicabilità dell’art. 2 del Dlgs 81/2015 ai collaboratori outbound (i collaboratori dei call center che effettuano chiamate versi i clienti di una determinata società). La norma richiamata estende le tutele previste del lavoro autonomo subordinato alle collaborazioni eterorganizzate. Esistono tuttavia alcune accezioni previste dal comma 2 che sono:
a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente piu’ rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
b) alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali e’ necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;
c) alle attivita’ prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle societa’ e dai partecipanti a collegi e commissioni;
d) alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 287, nonché delle società sportive dilettantistiche lucrative;
d-bis) alle collaborazioni prestate nell’ambito della produzione e della realizzazione di spettacoli da parte delle fondazioni di cui al decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367 .
Il Giudice, nonostante abbia accertato l’esistenza del requisito dell’eterorganizzazione ha ritenuto sussistere la causa di esclusione di cui alla lettera a) (si veda punto 2), quindi l’esistenza di un accordo collettivo che prevede “discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo” .
1) UNA PREMESSA: SIGNIFICATO DI COLLABORATORE AUTONOMO ETERORGANIZZATO.
Al fine di permettere una comprensione più agevole della questione e delle problematiche affrontate nella sentenza in commento, preliminarmente verrà analizzato il concetto di eterorganizzazione e che cosa significa, a livello di tutele, il fatto che un rapporto di lavoro sia considerato una collaborazione eterorganizzata oppure una mera collaborazione coordinata continuativa.
Costituisce un fatto di comune conoscenza che al lavoratore subordinato a tempo indeterminato per legge sono attribuiti particolari diritti quali ferie retribuite, tredicesima- in alcuni casi quattordicesima- TFR, periodi di malattia retribuiti ecc. Queste particolari tutele costituiscono il contraltare al fatto che il lavoratore sia sottoposto al potere disciplinare e direttivo del datore di lavoro.
La norma cardine che descrive il rapporto di lavoro subordinato è l’art. 2094 c.c: È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore “
Dall’altra parte vi è il c.d contratto di lavoro autonomo nel quale il prestatore d’opera non è regolato da alcun vincolo di subordinazione nell’esecuzione dell’opera o prestazione commissionata. E’ libero di organizzare autonomamente il proprio lavoro anche dal punto di vista spaziale e temporale purché, se previsto, rispetti il termine di consegna dell’opera. In capo al lavoratore autonomo sussiste solo l’obbligo di raggiungere il risultato richiesto senza alcuna ingerenza del committente (cliente). In alcuni casi per il lavoratore non è nemmeno richiesto il raggiungimento dello scopo preventivato, è sufficiente che esegua la prestazione rispettando alcuni parametri di diligenza (si veda artt. 1176 e 2236 c.c.).
La norma cardine che definisce il rapporto di lavoro autonomo è l’art 2222 c.c. che stabilisce “Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro”.
Il “prezzo da pagare” per questa libertà di organizzare la propria attività lavorativa e l’assenza del vincolo di subordinazione è la mancanza di qualsiasi tutela in caso di malattia, l’assenza di ferie retribuite, nessuna gratifica natalizia e/o quattordicesima ecc.
In sostanza il diritto del lavoro fino a qualche anno fa prevedeva una rigida suddivisione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo i quali venivano considerati come due linee parallele che non si intersecavano mai.
Se dal punto di vista teorico questo confine è da sempre stato considerato rigido, alla prova dei fatti si è sempre dimostrato incerto e poroso.
Questa incertezza è riconducibile alla volontà di parte datoriale di restringere il più possibile il campo di applicazione del lavoro subordinato, riqualificando buona parte delle prestazioni da eseguirsi all’interno della fattispecie autonoma dal momento che tutte le tutele previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva hanno un costo per l’impresa.
Dall’altra parte chi esegue una prestazione qualificata come autonoma, ma che nei fatti risulta fortemente condizionata nelle modalità di esecuzione da chi l’ha commissionata, cerca di far riqualificare il contratto come subordinato per ottenere tutte quelle tutele che ne conseguono.
In questa “zona grigia” si inserisce quella che può essere definita la “terza tipologia” del rapporto di lavoro: la parasubordinazione,
Il termine parasubordinazione descrive felicemente la situazione ibrida di questa tipologia di rapporto ci si avvicina a quello subordinato ma che presenta caratteristiche parzialmente diverse.
A seguito del Dlgs 81/2015 (c.d Jobs Act) la parasubordinazione può essere a sua volta suddivisa in due tipologie di rapporto:
a) le collaborazioni prevalentemente personali, coordinate e continuative ex art. 409, n. 3 cpc più vicine al rapporto di lavoro autonomo “puro” stabilito dall’art 2222 c.c.;
b) le collaborazioni personali, continuative, etero-organizzate ex art. 2 comma 1, Dlgs 81/2015 più vicine al lavoro subordinato e alle quali si applicano le (buona parte delle) tutele del rapporto di lavoro subordinato.
Anche se non sempre in maniera coerente e con norme che spesso hanno causato forti dubbi interpretativi, l’intento del Legislatore italiano è stato quello di superare la rigida ripartizione subordinazione/autonomia laddove solo se si rientra nell’ipotesi di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato si ha un sistema di tutele forti per il lavoratore. Fuori da quest’ultimo tipo di rapporto, invece, le tutele del lavoratore evaporavano sino ad essere pressoché nulle. Un sistema, quindi, riassumibile nell’espressione “dentro o fuori”.
Il concetto di fondo che ha guidato o dovrebbe guidare il Legislatore nell’ultimo decennio è una diminuzione delle tutele nel rapporto di lavoro subordinato (si pensi ad un innegabile arretramento dal punto di vista qualitativo delle tutele nel caso di licenziamento illegittimo) controbilanciato da un’estensione di una serie di tutele anche a quei rapporti che subordinati propriamente non sono, ma che presentano caratteristiche affini con quest’ultima categoria, un esempio su tutti può essere i fattorini di Foodora (http://studiolegalemeiffret.it/sentenza-corte-dappello-di-torino-4-febbraio-2019-n-26-sul-caso-dei-riders-di-foodora-contrordine-i-fattorini-sono-almeno-lavoratori-autonomi-eteroorganizzati/ ).
La norma che rispecchia questo concetto volto a rendere liquido il confine tra autonomia e subordinazione è il I comma dell’art. 2 del dlgs 81/2015 che prevede che “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalita’ di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”
L’intento del Legislatore è applicare, quindi, le tutele del lavoro subordinato anche a quelle attività lavorative che propriamente subordinate non sono anche se le modalità di esecuzione della prestazione sono organizzate dal committente con la possibilità di quest’ultimo di stabilire i tempi e i luoghi di lavoro.
L’elemento caratterizzante questo rapporto è il fatto che, seppur in assenza di un potere disciplinare, la prestazione del lavoratore si integra funzionalmente nell’organizzazione produttiva del committente (in termini più semplici viene regolamentata dal punto di vista del tempo e dello spazio): questa caratteristica viene definita eterorganizzazione che si distingue dalla subordinazione, carraterizzata dal potere disciplinare e direttivo, e dalla cosiddetta coordinazione definita nell’art. 409 III comma cpc. La definizione di coordinamento presente nell’articolo di procedura civile testé richiamato è stata modificata nel 2017 dall’art. 15 della l. n. 81 2017 con il quale il Legislatore ha precisato che “la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività produttiva”. L’elemento che distingue l’eterorganizzazione dal semplice coordinamento è che in quest’ultimo caso il collaboratore organizza autonomamente la propria attività. L’art. 409 cpc III comma precisa, inoltre, che l’attività può essere prevalentemente personale, motivo per cui il collaboratore coordinato può avvalersi a sua volta di altri soggetti per eseguire la prestazione, mentre l’art.2 prevede che l’attività lavorativa svolta debba essere esclusivamente personale.
Poichè le collaborazioni coordinate continuative si avvicinano alla tipologia di lavoro autonomo senza tuttavia rientrare totalmente in quest’ultima fattispecie, anche in questo tipo di rapporto il Legislatore, con la l. 81/2017, ha previsto una serie di tutele.
Gli articoli da 1 a 17 della sopra citata legge hanno previsto una serie di tutele che interessano il rapporto di lavoro, l’aspetto previdenziale e la prevenzione di pratiche abusive del committente.
Le suddette tutele, proprio in virtù della maggiore vicinanza di tale tipologia di rapporto con quella autonoma “pura”, sono molto più blande rispetto a quelle attribuite alle collaborazioni eterorganizzate.
Ad esempio in tema di maternità la lavoratrice non ha diritto di farsi pagare, bensì di farsi sostituire da altra lavoratrice autonoma. O ancora, nel caso di malattia il rapporto di collaborazione viene momentaneamente sospeso, senza quindi corrispettivo, sino ad un massimo di 150 giorni per anno solare. Altre norme della l 81/2017 mirano a scongiurare abusi da parte del committente quali l’obbligo della forma scritta del contratto di collaborazione, la nullità di clausole che attribuiscono al committente la possibilità di modificare il contenuto del contratto unilateralmente o stabiliscono termini di pagamento superiori a 60 giorni.
Un elemento che caratterizza, invece, entrambe le tipologie della prestazione è il carattere continuativo della prestazione.
In sintesi dopo l’entrata in vigore del Jobs act (dlgs 81/2015) esistono quattro declinazioni del rapporto di lavoro:
1) il lavoro subordinato ex art. 2094 c.c. e s.s.
2) il lavoro autonomo ex art. 2222 c.c. e s.s,
3) le collaborazioni prevalentemente personali, coordinate e continuative ex art. 409, n. 3 cpc;
4) le collaborazioni personali, continuative, etero-organizzate ex art. 2 comma 1, Dlgs 81/2015;
2) COLLABORAZIONI ETERORGANIZZATE: QUALI TUTELE DEL LAVORO SUBORDINATO SI APPLICANO?
Pare subito evidente che il confine tra coordinazione ed eterorganizzazione risulti piuttosto labile. Ma questo non è l’unico elemento che può generare problemi pratici: l’art. 2 del dlgs 81/2015 non descrive quali tutele del lavoro subordinato debbano applicarsi al collaboratore di lavoro coordinato eterorganizzato. Una prima interpretazione potrebbe comportare l’applicazione di tutte le norme a tutela del lavoro subordinato al collaboratore eterorganizzato, si pensi ad esempio la disciplina contro i licenziamenti illegittimi.
Invero le prime pronunce su questo punto (si veda, ad esempio, Corte D’appello di Torino, Sez. lav., sent. 4 febbraio 2019, n.26 sul caso Foodora), hanno stabilito che, poiché il rapporto rimane autonomo seppur eterorganizzato, devono applicarsi le tutele del lavoro subordinato compatibili con la natura autonoma, quindi, ad esempio, tutela per infortuni, la retribuzione minima parametrata a quella dei contratti collettivi per mansioni simili, la maternità retribuita, ma non quelle tipiche del lavoro subordinato in contrasto con la natura del rapporto come, appunto, la tutela nel caso di licenziamento illegittimo.
L’analisi sin qui svolta permette di comprendere l’importanza delle conseguenze nel caso in cui una prestazione coordinata continuativa venga riqualificata come subordinata o coordinata eterorganizzata.
3) IL CASO AFFRONTATO DAL TRIBUNALE DI ROMA: I COLLABORATORI OUTBOUND
Il caso qui di seguito esaminato affronta un’altra ipotesi in cui ad una collaborazione coordinata, pur essendo eteroorganizzata, non vengano estese le tutele del lavoro subordinato: l’ipotesi in cui sussita un accordo collettivo che regola dal punto normativo e retributivo il rapporto di lavoro (art.2 Ddlgs 81/2015 comma 2 lett. a).
Una società che gestiva in appalto un servizio di assistenza call center outbound per una nota compagnia telefonica aveva presentato ricorso contro alcuni suoi ex collaboratori per far per far accertare la corretta qualificazione dei rapporti come collaborazioni coordinate.
La società aveva deciso di agire per far accertare la legittimità della qualificazione dei rapporti di lavoro intercorsi dopo che i convenuti avevano chiesto tramite raccomandata la riqualificazione del rapporto in contratto di lavoro subordinato ed il versamento delle conseguenti differenze retributive.
La ricorrente sosteneva che i resistenti dal 2016 al 2018 avevano collaborato mediante contratti di collaborazione più volte reiterati. L’oggetto della collaborazione consisteva principalmente nella verifica che i clienti della società telefonica che avevano chiesto l’assistenza tecnica fossero soddisfatti del servizio a loro reso. In aggiunta i collaboratori dovevano proporre nuove tipologie di contratti ai clienti contattati.
Deduceva, inoltre, che i collaboratori non avevano vincoli di orario in quanto era a loro concessa la scelta, con cadenza settimanale, di quali turni svolgere. L’assenza di subordinazione era confermata dall’assenza di potere disciplinare da parte del committente in caso di assenze ingiustificate dei collaboratori.
In merito alle differenze retributive la società ricorrente insisteva per la legittimità del proprio operato poiché quanto corrisposto a titolo di compenso ai collaboratori era parametrato all’accordo collettivo siglato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
I resistenti si costituivano insistendo in via principale per l’accertamento della natura subordinata del rapporto. In subordine chiedevano l’applicazione delle tutele del lavoro subordinato in base all’art. 2 del Dlgs 81/2015.
Evidenziavano, infatti, di aver lavorato con reiterati contratti di collaborazione senza alcun progetto. Oltre a tale elemento che deponeva per la natura subordinata, rimarcavano il fatto che non vi fosse alcun margine di autonomia nell’esecuzione della prestazione. La stessa, infatti, era totalmente eterodiretta dai c.d. team leader della società resistente. Ad abundantiam le prestazioni dagli stessi svolte erano speculari a quelle eseguite dai lavoratori subordinati dell’impresa di telecomunicazioni.
Per quanto riguarda i turni di lavoro eccepivano che, se è vero che questi venivano scelti dai lavoratori, la possibilità di non effettuare il turno prescelto era subordinata al fatto che il c.d. team leader riuscisse a trovare un sostituto. La rigidità temporale nell’esecuzione della prestazione era andata rafforzandosi dal mese di maggio 2018 in quanto, a partire da tale data, i team leader imponevano le tabelle dei turni, di fatto imponendo i giorni nei quali presenziare a lavoro e quelli in cui assentarsi.
In ultimo censuravano l’applicazione dell’accordo collettivo poiché questo era rivolto ai collaboratori che svolgevano un’attività di vendita di beni o servizi, mentre la loro prestazione aveva come oggetto quello di accertare la soddisfazione dei clienti che avevano usufruito del servizio di assistenza. A differenza di quanto stabilito nel contratto di collaborazione, mai i resistenti si erano occupati di fornire beni o servizi ai clienti.
4) L’ESCLUSIONE DELL’APPLICAZIONE DELL’ART: 2 DEL DLGS 81/2015
Il Tribunale di Roma accoglie il ricorso della società datrice di lavoro accertando la corretta qualificazione dei rapporti di lavori come collaborazioni coordinate.
Richiamandosi ad un precedente della Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. Lav., sent. n. 2842 del 26 febbraio 2002), il Giudice esclude la subordinazione evidenziando la volontarietà della prestazione. Il Giudice ritiene, infatti, appurato che i resistenti erano liberi di scegliere quali turni svolgere al servizio della società. La scelta e la volontarietà di candidarsi o meno per i turni predisposti dal datore comporta l’esclusione della natura subordinata del rapporto.
Il Giudice prosegue escludendo anche l’applicazione dell’art.2 comma 1 del Dlgs 81/2015.
Nel caso di specie sussiste un accordo collettivo nazionale stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che regola il trattamento economico e normativo dei collaboratori outbound. Per questo motivo si rientra nella prima ipotesi, stabilita dall’art. 2 comma 1 del d.lgs 81/2015, di esclusione dell’applicazione della disciplina del lavoro subordinato ad un rapporto di collaborazione.
5) COMMENTO ALLA SENTENZA
La sentenza esaminata esclude, quindi, l’applicabilità della tutela prevista dal comma 1 dell’art. 2 del Dlgs 81/2015 sul presupposto che ai rapporti autonomi eterorganizzati presi in esame si applichi l’accordo collettivo del 31 luglio 2017 il quale, come previsto dal comma 2 del medesimo art. 2, specifica il trattamento economico e normativo.
Il Giudice evidenzia come detto accordo collettivo sia stato sottoscritto dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e in base a particolari ragioni economiche e produttive.
Lascia al sottoscritto perplesso come il Giudicante abbia apoditticamente ritenute sussistenti le particolari esigenze economico e produttive così come abbia ritenuto pacifica la sussistenza di una specifica disciplina economica e normativa.
Partendo dal primo requisito, ovvero le finalità economico produttive, non risulta un richiamo a tali esigenze nel più volte citato accordo del 2017.
Ciò, a sommesso parere dello scrivente, dovrebbe comportare l’inapplicabilità dell’accordo collettivo come motivo di esclusione dell’applicazione dell’art. 2 comma 1 del dlgs 81/2015 ai collaboratori outbound.
Resta da capire se, ad esclusione del caso di specie, laddove si richiamino nell’accordo le esigenze produttive ed organizzative, quale possa essere il sindacato del Giudice sull’esistenza o meno di detti presupposti.
Da una parte coloro che sono più orientati ad una tutela delle ragioni datoriali potrebbero effettuare un richiamo all’art. 30 del collegato lavoro. A tale argomentazione si potrebbe obbiettare che nel campo di applicazione dell’art. 30 della legge 183 del 2010 non rientra la contrattazione collettiva. Cionondimeno la formula scelta dal legislatore è così generica (esigenze organizzative e produttive) da permettere facilmente il rispetto con un richiamo quasi solamente formale nell’accordo collettivo.
Posto che non risultano esigenze tecnico e produttive, l’accordo del 2017 nasce dal meritevole presupposto di fornire una tutela ai collaboratori outbound. Tuttavia dalla contrattazione collettiva non sono scaturite tutele nemmeno lontanamente avvicinabili a quelle dei lavoratori subordinati. Non solo dal punto di vista qualitativo, ma anche da quello quantitativo. Chi scrive si interroga, quindi, se effettivamente possa dirsi sussistente quell’analiticità nel regolamentare il rapporto sotto l’aspetto economico e normativo richiesta agli accordi collettivi affinché non siano estese le tutele dirette ed indirette del rapporto di lavoro subordinato alle collaborazioni eterodirette.
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