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Cass. Civ. Sez. Lav., ord. 25836 del 1/09/2022. Quando e a quali condizioni il lavoratore che assiste un familiare affetto da handicap non grave può rifiutare il trasferimento?

Cass. Civ. Sez. Lav., ord. 25836 del 1/09/2022. Quando e a quali condizioni il lavoratore che assiste un familiare affetto da handicap non grave può rifiutare il trasferimento?

MASSIMA

L’art. 33 comma 5 della l. 104 del 1992 stabilisce che il lavoratore che si trovi ad assistere un familiare convivente affetto da disabilità grave non possa essere trasferito in altra sede senza il suo consenso.

Tuttavia la norma in questione deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati alla luce dell’art. 3 comma 2 Cost., dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unte del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili. Ne consegue che, anche nel caso di assistenza di un familiare convivente affetto da disabilità non grave ai sensi dell’art. 33 della l. 104 del 1992, il trasferimento può essere vietato qualora il lavoratore dimostri le esigenze assistenziali. In tal caso tuttavia l’impresa può fornire prova contraria consistente nell’accertare che il trasferimento si rende necessario per esigenze produttive urgenti che non possono essere soddisfatte in altra maniera.

Cassazione civile sez. lav. 01 settembre 2022 n. 25836

PRECEDENTI CONFORMI

Cassazione civile, sez. lav., sent. 07 giugno 2012, n.9201

IL PRINCIPIO STABILITO DALLA SUPREMA CORTE

E’ questo il principio stabilito dalla Suprema Corte nell’ordinanza qui brevemente annotata.

Il lavoratore caregiver non può essere trasferito senza il suo consenso nel momento in cui al familiare convivente sia riconosciuta la disabilità grave ai sensi dell’art. 33 comma 3 della l. 104 del 19921.

Nel caso la disabilità non sia grave ai sensi dell’art. 33 legge 104 del 1992, il lavoratore può rifiutare il trasferimento qualora dimostri le esigenze assistenziali del familiare disabile. In questa ipotesi, tuttavia, il datore di lavoro può imporre comunque il trasferimento qualora provi in giudizio che il trasferimento è giustificato da ragioni organizzative effettive ed urgenti e che non possono essere soddisfatte in altro modo.

Dunque nel caso di disabilità accertata come grave del familiare convivente del lavoratore, quest’ultimo gode di un diritto assoluto ed incomprimibile a non essere trasferito senza il suo consenso.

Detto diritto non ha il carattere dell’assolutezza nel caso di disabilità non grave. In questo caso spetta al lavoratore dimostrare in giudizio che la situazione di disabilità del parente convivente necessiti assistenza continua e che questa possa essere pregiudicata dal trasferimento. Dall’altra parte il datore di lavoro, al fine di rendere effettivo il trasferimento anche nel caso in cui il lavoratore provi le esigenze assistenziali, deve dimostrare l’urgenza del trasferimento caratterizzata dall’eccezionalità delle ragioni organizzative e produttive. In particolar modo deve, quindi, provare in giudizio che il trasferimento del lavoratore caregiver sia l’unico modo per soddisfare le ragioni produttive ed organizzative.

IL CASO

Una dipendente presenta ricorso in Cassazione dopo che la Corte D’appello di Roma aveva ritenuto legittimo il suo licenziamento in quanto si era rifiutata di rispettare l’ordine di trasferimento in altra sede intimatole dall’azienda.

La ricorrente giustificava il suo rifiuto in quanto era caregiver di un familiare disabile, motivo per cui, a suo giudizio, trovava applicazione l’art. 33 comma 5 della legge 104 del 1992 anche se la disabilità del parente non era qualificabile come grave in base alla suddetta norma.

La Corte di Cassazione, nell’accogliere parzialmente il ricorso, aveva cassato con rinvio la sentenza d’appello. Nella sentenza gli ermellini avevano stabilito che la Corte d’appello di Roma in altra composizione avrebbe dovuto uniformarsi al seguente principio di diritto: il diritto a non essere trasferiti senza il consenso non spetta solamente al lavoratore che deve assistere un familiare convivente affetto da handicap grave, ma anche a quello che deve curare un disabile affetto da disabilità non grave ai sensi dell’art 33 delle l. 104 del 1992. In tal caso però il lavoratore deve provare in giudizio un certo grado di serietà dell’handicap del familiare e che questo necessiti di assistenza.

Dall’altra parte il datore di lavoro può far valere la legittimità del trasferimento qualora fornisca in giudizio la prova dell’esistenza di motivazioni urgenti giustificatrici del trasferimento e che possono essere soddisfatte solo mediante tale trasferimento (in senso conforme si veda anche Cassazione civile sez. lav., sent. 07 giugno 2012, n.9201).

La sentenza rescindente della Suprema Corte aveva stabilito che la Corte d’Appello di Roma si fosse limitata ad accertare, sulla base delle risultanze mediche prodotte dalla lavoratrice, che la parente disabile non fosse affetta da handicap grave. Non si era soffermata nel valutare se comunque l’handicap della familiare della lavoratrice fosse di rilevanza tale da comportare la necessità di assistenza. Una volta effettuata questa prima valutazione la Suprema Corte avrebbe dovuto, inoltre, effettuare un giudizio di bilanciamento tra le esigenze di assistenza e quelle organizzative sottese alla comunicazione di trasferimento.

In sede di rinvio la Corte d’Appello, confermava la legittimità del trasferimento ed il successivo licenziamento per il rifiuto della lavoratrice di trasferirsi.

Basandosi sul principio della Suprema Corte, la Corte d’appello di Roma, in altra composizione, dopo aver accertato la natura non grave della disabilità del familiare convivente della lavoratrice, aveva ritenuto che la ricorrente non avesse provato che il familiare, all’epoca del trasferimento, si trovasse in una situazione di ridotta autonomia e necessitasse, quindi, di assistenza.

La ricorrente ripresentava ricorso in Cassazione sostenendo che nemmeno la Corte d’appello di Roma in altra composizione si fosse uniformata al principio di diritto e che comunque fosse errata la valutazione della gravita dell’handicap del familiare convivente.

La Cassazione dichiara con ordinanza inammissibile il ricorso perché richiede una revisione dell’apprezzamento delle prove e del ragionamento decisorio non permesso in sede di legittimità.

Inoltre rileva come, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, nella seconda pronuncia la Corte d’Appello di Roma avesse applicato correttamente il principio di diritto stabilito nella propria precedente sentenza.

 

 

1Art. 33 legge 104/1992 La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, hanno diritto al prolungamento fino a 3 anni del periodo di astensione facoltativa dal lavoro di cui all’articolo 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.

2. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, possono chiedere ai rispettivi datori di lavoro di usufruire, in alternativa al prolungamento fino a 3 anni del congedo parentale di cui all’articolo 33 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, di due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino.

3. Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un’unione civile ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un’unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità. Fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si tratti del coniuge o della parte di un’unione civile di cui all’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o del convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

3-bis. Il lavoratore che usufruisce dei permessi di cui al comma 3 per assistere persona in situazione di handicap grave, residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 chilometri rispetto a quello di residenza del lavoratore, attesta con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito.

4. Ai permessi di cui ai commi 2 e 3, che si cumulano con quelli previsti agli articoli 32 e 47 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 43, 44 e 56 del citato decreto legislativo n. 151 del 2001.

5. Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

6. La persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità può usufruire alternativamente dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso.

6-bis. I lavoratori che usufruiscono dei permessi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo hanno diritto di priorità nell’accesso al lavoro agile ai sensi dell’articolo 18, comma 3-bis, della legge 22 maggio 2017, n. 81 o ad altre forme di lavoro flessibile. Restano ferme le eventuali previsioni più favorevoli previste dalla contrattazione collettiva nel settore pubblico e privato.

7. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5 si applicano anche agli affidatari di persone handicappate in situazione di gravità. (5

7-bis. Ferma restando la verifica dei presupposti per l’accertamento della responsabilità disciplinare, il lavoratore di cui al comma 3 decade dai diritti di cui al presente articolo, qualora il datore di lavoro o l’INPS accerti l’insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti. Dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

7-ter. Il rifiuto, l’opposizione o l’ostacolo all’esercizio dei diritti di cui al presente articolo, ove rilevati nei due anni antecedenti alla richiesta della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o di analoghe certificazioni previste dalle regioni e dalle province autonome nei rispettivi ordinamenti, impediscono al datore di lavoro il conseguimento delle stesse certificazioni.

 

Per informazioni rivolgersi a:

Avv. Francesco Meiffret, Via Matteotti 124 Sanremo (IM), tel 0184 532708, cell 339 8177244, mail info@studiolegalemeiffret.it

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