Ciao, Come posso aiutarti?

Insulti gratuiti su facebook a...

Insulti gratuiti su facebook all’azienda da parte di un sindacalista: legittimo il licenziamento

Insulti gratuiti su facebook all’azienda da parte di un sindacalista: legittimo il licenziamento

Cass. n. 35922-2023

È quanto stabilito dall’ordinanza n. 35922 pronunciata il 22 dicembre 2023 dalla sezione lavoro della Corte di Cassazione, qui annotata. Anche i giudici di legittimità, a seguito della doppia sentenza conforme del Tribunale di Bari e della Corte d’appello di Bari, sanciscono che i post scritti dal rappresentante sindacale aziendale sulla propria bacheca del social facebook travalicassero il diritto di critica sindacale nei confronti del datore di lavoro.

In questo commento verranno esaminati due dei motivi del ricorso di cassazione presentati dal lavoratore e d’interesse dal punto di vista giuslavoristico.

Il primo analizzato saranno i limiti del diritto di critica del rappresentante sindacale aziendale nei confronti del datore di lavoro.

Il secondo motivo preso in considerazione sarà la questione se la diffamazione a mezzo facebook possa sussistere anche nel caso di pubblicazione di dichiarazioni lesive della reputazione del datore di lavoro sulla bacheca di un profilo “chiuso”, cioè visibile solo da un numero determinato di soggetti.

Venendo al primo motivo il sindacalista sosteneva nel proprio ricorso che i propri post su facebook costituissero esercizio del diritto di critica sindacale. Per questo motivo chiedeva la nullità del licenziamento disciplinare a lui intimato qualificandolo, inoltre, come discriminatorio.

Nell’analizzare i fatti dell’ordinanza qui annotata occorre effettuare una breve excursus giurisprudenziale sui limiti dell’esercizio del diritto di critica sindacale.

In seno alla giurisprudenza sia di merito che di legittimità si è oramai consolidato l’orientamento inaugurato con la sentenza della Suprema Corte sez. lav. del 25 febbraio 1986, n. 1173 in base al quale la critica sindacale ha una duplice copertura costituzionale.

Essa costituisce espressione del diritto di libertà di manifestazione del pensiero stabilito dall’art. 21 Cost. nonché della libertà dell’azione sindacale sancito dall’art. 39 Cost.

Lo stesso diritto di critica trova altresì una tutela nell’art. 10 CEDU e nell’art. 11 della Carta dei Diritti Fondamentali oltre che essere ribadito dall’art. 1 dello Stat. Lav.

Sulla base di questa lettura deriva una più ampia estensione del diritto di critica del lavoratore che svolge funzioni sindacali rispetto al semplice lavoratore.

Il sindacalista si pone in una posizione di pari livello con il datore di lavoro purché la critica sia finalizzata al miglioramento delle condizioni lavorative della collettività dei dipendenti o per finalità relative all’esercizio dell’attività sindacale (cfr. ex plurimis, Cass. civ., Sez. lav., sent. 3 novembre 1995 n. 11436; Cass. civ., sez. lav., sent. del 10 luglio 2018 n. 18176).

Sussiste, quindi, un rapporto paritario solo se la critica sia finalizzata a rivendicazioni sindacali e, quindi, abbia come oggetto le condizioni di lavoro e le scelte organizzative che incidono su di esse.

Analizzando la fattispecie da quest’angolazione la critica, anche se aspra, è ampiamente discriminata. Infatti, eventuali sanzioni disciplinari comminate dal datore sarebbero censurabili sia sotto il profilo discriminatorio sia dal punto di vista della repressione della condotta antisindacale ex art. 28 statuto lavoratori.

Già sotto il profilo teleologico, nell’ordinanza in commento viene evidenziato come le dichiarazioni presenti sulla bacheca facebook non fossero minimamente imputabili ad un rapporto dialettico con il datore di lavoro per rivendicazioni di carattere sindacale.

Nel caso analizzato gli Ermellini ritengono giuridicamente corretta la sentenza della Corte d’appello di Bari che aveva a sua volta confermato la legittimità del licenziamento perché le esternazioni sul social del rappresentante sindacale non erano finalizzate a tutelare i lavoratori rappresentati.

Ma l’assenza di tale scopo non era l’unica condizione a non essere rispettata affinché la condotta del rappresentante sindacale fosse discriminata.

La Suprema Corte evidenzia come i post del ricorrente fossero privi di continenza verbale e volti a denigrare gratuitamente i responsabili dell’azienda ed i colleghi, rei di non supportarlo in una non meglio specificata campagna contro l’impresa.

Proprio per via della finalità di rilevanza costituzionale della critica sindacale la stessa può essere esercitata con toni aggressivi o addirittura esagerati, ma non deve mai superare il rispetto degli altrui diritti alla reputazione, all’onorabilità della persona ed al decoro (Cass. pen., sez. V, sent. 27 giugno 2000, n. 7499 e Cass. civ., sez. lav., sent. 6 giugno 2018, n. 14527).

Se l’orientamento maggioritario della Suprema Corte è quello di tracciare il limite a tale esercizio con il divieto di utilizzo di espressioni volgari o volutamente iperboliche, parte della giurisprudenza ha dilatato i confini della scriminante in questione ritenendo legittimo l’esercizio della critica sindacale anche mediante l’uso di un linguaggio colorito e inappropriato (Cass. civ., sez Lav. 14 giugno 2004 n. 11220). Inoltre, detto requisito viene parametrato alle capacità linguistiche e al modo di esprimersi di colui che esercita tale diritto.

Nel caso affrontato, non sussistendo alcuna connessione con l’esercizio della tutela dei diritti della collettività dei lavoratori, in automatico le – quantomeno – aggressive dichiarazioni rilasciate sulla bacheca virtuale non potevano essere scusate sotto il profilo della continenza formale.

Non in ultimo nel caso affrontato mancava la cd continenza sostanziale, ovvero la veridicità di quanto pubblicato sulla bacheca.

Anche quest’ultimo requisito è da declinarsi in maniera più attenuata rispetto all’esercizio del diritto di cronaca.

Sotto questo profilo il criterio della veridicità secondo parte della giurisprudenza andrebbe valutato in base al concetto di “verità putativa”, quindi la credibilità dei fatti oggetto di critica (Cass. civ., Sez. III, sent. 10 luglio 2018 n. 18176. Tuttavia, in senso contrario in relazione alla necessaria esistenza oggettiva dei fatti oggetto di critica si veda Cass. civ., Sez. lav. Sent. del 7 maggio 2018 n. 10897).

Nel caso in commento era stato appurato che dichiarazioni quali “si informano tutti i gentili colleghi dell’azienda …. che, qualora si voglia aderire e iscriversi alla Filt Cgil perché trattati come stracci, siatene convinti e non che alle prime minacce o false promesse vi tirate indietro, qui nessuno ha tempo da perdere, se li avete gli attributi metteteli fuori, in caso contrario allacciate bene la cintura” fossero del tutto gratuite e prive di qualsiasi fondamento.

L’altra questione è se le dichiarazioni pubblicate su facebook su una bacheca chiusa, cioè visibile solo da determinate persone, possa costituire diffamazione.

Il ricorrente aveva censurato tale conclusione asserendo che la sua bacheca virtuale fosse visibile da una cerchia ristretta di persone.

Invero la Suprema Corte rileva come in fase di reclamo il ricorrente non avesse contestato le risultanze della CTU di I grado che era giunta alle conclusioni che la bacheca virtuale fosse visibile da chiunque. Per questo le sue dichiarazioni contro l’azienda erano potenzialmente leggibili da un numero indeterminato di persone.

Detto fatto, quindi, doveva ritenersi pacifico e non contestato.

Occorre domandarsi quale sarebbe stato l’esito del procedimento se fosse stato accertato il contrario, ovvero che la bacheca del ricorrente fosse chiusa e, quindi, le sue dichiarazioni visibili da un numero limitato e determinato di soggetti.

Si potrebbe, infatti, sostenere che quanto scritto su una bacheca virtuale, se rivolta ad una platea circoscritta e determinata, rientri nel campo di applicazione dell’art. 15 Cost. A tal proposito occorre ricordare come la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 20 del 24 gennaio 2017, avesse stabilito che il diritto tutelato dall’art. 15 Cost. “comprende tanto la corrispondenza quanto le altre forme di comunicazione, incluse quelle telefoniche, elettroniche, informatiche, tra presenti o effettuate con altri mezzi resi disponibili dallo sviluppo della tecnologia”

Nel caso di una bacheca chiusa, le cui dichiarazioni sono visibili solo da un determinato numero di persone, si potrebbe sostenere che quanto scritto rientri nel campo di applicazione dell’art. 15 Cost.

In un precedente con alcune analogie del 2018 la Suprema Corte aveva stabilito l’illegittimità del licenziamento di un rappresentante sindacale che aveva scritto insulti nei confronti del legale rappresentane dell’azienda su una chat (Cassazione civile sez. lav., sent 10 settembre 2018 n. 21965). Secondo la Suprema Corte anche le comunicazioni effettuate in una chat godevano della protezione di cui all’art. 15 Cost. perché destinate ad un numero ristretto di persone.

Tuttavia, sempre nel 2018 la Suprema Corte, con la sentenza n. 10280 del 27 aprile 2018, aveva confermato il licenziamento per giusta causa di una dipendente che aveva rilasciato sulla propria bacheca commenti altamente offensivi. Secondo i giudici il mezzo utilizzato permetteva che il messaggio raggiungesse un numero indeterminato di persone.

Alle medesime conclusioni era giunta la Suprema Corte nella sentenza n. n. 27939 del 3 ottobre 2021. Anche in questo caso è stato ritenuto che la bacheca di facebook fosse uno strumento idoneo a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone.

A parere di chi scrive, sostenere de plano, come sembra propendere la sezione lavoro della Suprema Corte, che qualsiasi post sulla bacheca facebook possa essere in automatico letto da una platea indeterminata di destinatari, pare discutibile.

Esistono, come in qualsiasi altre forma di comunicazione virtuale, varie impostazioni della privacy; dal profilo cd aperto cioè visibile da tutti gli utenti di facebook di qualsiasi nazione a quello nel quale i messaggi possono essere visti da un numero limitato di persone e senza che il post possa essere riprodotto o condiviso.

 

 

Per ulteriori informazioni sul tema rivolgersi all’Avv. Francesco Meiffret (info@studiolegalemeiffret.it, studiolegalemeiffret@gmail.com, cell. 3398177244, tel 0184532708) 

Condividi articolo