Ciao, Come posso aiutarti?

CORTE DI GIUSTIZIA: IL DIPENDE...

CORTE DI GIUSTIZIA: IL DIPENDENTE PUBBLICO DIMISSIONARIO HA DIRITTO ALL’INDENNIZZO PER LE FERIE MATURATE E NON GODUTE

CORTE DI GIUSTIZIA: IL DIPENDENTE PUBBLICO DIMISSIONARIO HA DIRITTO ALL’INDENNIZZO PER LE FERIE MATURATE E NON GODUTE

ESTREMI: Corte giustizia Unione Europea Sez. I, Sent., 18/01/2024, n. 218/22

Corte giustizia Unione Europea Sez. I, Sent., 18 gennaio 2024, n. 218

PRECEDENTI CONFORMI

Corte di Giustizia dell’Unione Europea grande sezione sent. 6 novembre 2018, resa nelle cause riunite C-569 e C-570/2016, Stadt Wuppertal, in causa C-619/2016, Sebastian W. Kreuziger ed in causa C- 684/2016, Max Planck

MASSIMA

L’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 osta a disposizioni o pratiche nazionali le quali prevedano che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non sia versata alcuna indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute al lavoratore che non sia stato in condizione di fruire di tutte le ferie annuali cui aveva diritto prima della cessazione di tale rapporto di lavoro. Spetta al datore di lavoro che non vuole riconoscere l’indennità per le ferie maturate e non godute dimostrare che il lavoratore sia stato effettivamente messo in condizione di usufruire tutte le ferie maturate e non godute. Inoltre è sempre il datore di lavoro a dover fornire la prova di avere formalmente informato il lavoratore in modo accurato ed in tempo utile della mancata monetizzazione delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro e che nonostante detto avviso il lavoratore abbia rifiutato di usufruire delle ferie.

BREVE COMMENTO

E’ noto come la pubblica amministrazione applichi in maniera ortodossa il decreto legge 95 del 2012 che si è occupata di stabilire una serie di regole volte a contenere la spesa pubblica.

In particolare l’art. 5 comma 8 ha posto un divieto generalizzato di monetizzazione delle ferie, permessi e riposi nel pubblico impiego. Dalla lettura della norma in questione il divieto sussisterebbe anche nell’ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro per qualsiasi motivazione (risoluzione, dimissioni, cassa integrazione).

La preclusione di “monetizzare” le ferie non godute era stata prevista al fine di ridurre i costi della pubblica amministrazione in un periodo di forte crisi economica per l’Italia a seguito della crisi derivante dal “cd crollo dei mutui subprime”.

Tuttavia pare opportuno precisare come la nostra Costituzione, all’art. 36 comma 3, preveda come il diritto alle ferie annuali retribuite sia irrinunciabile.

Il diritto alle ferie annuali è sancito anche dall’art 31 della Carta dei diritti fondamentale dell’Unione Europea.

Ma non solo. Sempre a livello comunitario occorre richiamare il contenuto dell’art. 7 comma 2 della direttiva 88/2003 che stabilisce cheIl periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro”.

Pare già evidente che in base ai dettami della nostra Costituzione ed in base ai principi comunitari, il divieto di monetizzazione sic et simpliciter applicato dalla pubblica amministrazione ai propri dipendenti sia illegittimo.

Ed, infatti, occorre rammentare come il divieto di monetizzazione nel pubblico impiego sia stato oggetto di numerose pronunce volte ad un’applicazione non in contrasto ai principi costituzionali e di matrice europea.

La Corte Costituzionale n. 95 del 6 maggio 2016 aveva sancito non fondata la questione di costituzionalità dell’art.5 comma 8 del DL 95/2012 qualora le ferie maturate non fossero state godute per una scelta deliberata del lavoratore. Tuttavia i Giudici delle leggi precisavano come non sempre le ferie, i permessi ed i riposi del dipendente pubblico non fossero monetizzabili.

Detto divieto di monetizzazione era inapplicabile nell’ipotesi in cui il lavoratore avesse dimostrato che il mancato godimento delle ferie fosse dipeso da cause a lui non imputabili. In aggiunta, sempre il lavoratore doveva dimostrare che anche l’interruzione del rapporto fosse di peso da cause fuori dalla sua sfera di controllo (ad esempio superamento del periodo di comporto o inidinoeità assoluta al lavoro). Precisava, inoltre, la Corte Costituzionale che era da considerarsi imputabile al lavoratore l’interruzione del rapporto per pensionamento perché in tale ipotesi il lavoratore avrebbe dovuto programmare per tempo il godimento delle proprie ferie.

Successivamente il divieto di monetizzazione delle ferie maturate e non godute veniva affrontato dalla sentenza emessa dalla grande sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 6 novembre 2018, resa nelle cause riunite C-569 e C-570/2016, Stadt Wuppertal, in causa C-619/2016, Sebastian W. Kreuziger ed in causa C- 684/2016, Max Planck

Nella suddetta pronuncia la Corte di Giustizia affrontava la questione se fosse compatibile con il già richiamato art. 7 della direttiva 2003/88 la norma presente nel diritto tedesco in base alla quale il lavoratore perdeva in automatico il diritto alle ferie qualora non le avesse usufruite prima della cessazione del rapporto. Secondo la Corte di Giustizia tale automatismo, senza la previa verifica se il lavoratore avesse potuto effettivamente godere dei periodi di ferie maturati, si poneva in contrasto con l’art. 7 della direttiva comunitaria.

Ma non solo. La Corte di Giustizia, contrariamente al nostro Giudice delle leggi, addossava al datore di lavoro, e non al lavoratore, l’onere di dimostrare la sussistenza dei requisiti per non monetizzare le ferie maturate e non godute.

Qualora il datore non fosse stato in grado dimostrare di essersi adoperato per permettere al lavoratore di usufruire delle ferie e non avesse fornito prova del fatto di averlo formalmente avvisato che nel caso di mancato godimento delle ferie queste sarebbero andate perse (quindi un preciso onere d’informazione in base ai principi di correttezza e buona fede), avrebbe dovuto provvedere a versare l’indennità per le ferie maturate e non godute.

A partire dal 2022 in poi la nostra Corte di Cassazione (si veda ex plurimis Cass., Civ Sez. Lav, sent 8 luglio 2022, n. 21780) si era allineata ai sopra delineati principi in merito all’onere della prova in capo al datore di lavoro in tema di monetizzazione delle ferie maturate e non godute, non dando più seguito alle limitazioni stabilite dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 2016 poco prima richiamata.

Su tale questione, su rinvio del Tribunale di Lecce si è pronunciata di nuovo la Corte di Giustizia con la sentenza n. 218 del 18 gennaio 2024 che si è espressa sull’incompatibilità rispetto al diritto eurounitario dell’art. 5 comma 8 del Dl 95 del 2012.

Nella sentenza appena richiamata è stato affermato che al dipendente pubblico che si sia dimesso vanno comunque indennizzate le ferie maturate e non godute nell’ultimo anno, così come quelle degli anni precedenti.

La Corte di Giustizia ribadisce come, in base al carattere imperativo ed inderogabile dell’art 7 della direttiva 2003/88, spetti al datore di lavoro, quindi parte resistente, dimostrare che il lavoratore sia stato effettivamente messo in condizione di usufruire tutte le ferie maturate e non godute. Inoltre è sempre il datore di lavoro a dover fornire la prova di avere formalmente informato il lavoratore in modo accurato ed in tempo utile della mancata monetizzazione delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro.

Qualora il datore non sia in grado dimostrare di essersi adoperato per permettere al lavoratore di usufruire delle ferie e non fornisca prova del fatto di averlo formalmente avvisato che nel caso di mancato fruizione delle ferie queste verranno perse (quindi un preciso onere d’informazione in base ai principi di correttezza e buona fede), è legittima la corresponsione dell’indennità sostitutiva delle ferie anche nell’ipotesi in cui il rapporto di lavoro si sia risolto per volontà del lavoratore.

Giova, in ultimo, ricordare come l’art.7 della direttiva 2003/88 e, di conseguenza, l’interpretazione fornita dalla Corte di Gisutizia, abbia effetto diretto. Trattandosi di una norma, dal punto di vista sostanziale, dal contenuto incondizionato e preciso, questa può essere applicata direttamente nei processi da un privato nei confronti dello Stato o di una sua emanazione quale, ad esempio, il datore di lavoro di natura pubblicistica ( sul punto si veda sentenza del 24 gennaio 2012, Dominguez, C-282/10, EU:C:2012:33, punto 33 e giurisprudenza ivi citata e Corte giustizia UE grande sezione sentenza 06 novembre 2018, n. 684 C-684/16 Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften V al punto 63).

Non in ultimo si rileva come anche due pronunce della Suprema Corte (Cass. civ. sez. lav. sent. 20 giugno 2023, n. 17643 e Cass. civile sez. lav. – ord. 27.11.2023, n. 32807), avessero stabilito come anche il dipendente dimissionario avesse diritto alla monetizzazione delle ferie.

In entrambe le pronunce la Suprema Corte ha stabilito che il dipendente pubblico dimissionario perde il diritto alla corresponsione dell’indennità delle ferie maturate e non godute se il datore di lavoro prova:

1) di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie, se necessario formalmente;

2) di averlo nel contempo avvisato in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire ;

3) di aver informato sempre il lavoratore del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.

Per ulteriori informazioni sul tema rivolgersi all’Avv. Francesco Meiffret (info@studiolegalemeiffret.it, studiolegalemeiffret@gmail.com, cell. 3398177244, tel 0184532708) 

Condividi articolo