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Cassazione: quando un appalto ...

Cassazione: quando un appalto di servizi può definirsi legittimo?

Cassazione: quando un appalto di servizi può definirsi legittimo?

Cass., sez. lav., ord. 28 settembre 2023, n. 27567 (1)

BREVE RIASSUNTO

L’ordinanza in commento riafferma il consolidato orientamento della Suprema Corte in base al quale affinché un appalto possa definirsi genuino è necessario che il potere disciplinare e direttivo sia esercitato dall’appaltatore. La legittimità dell’appalto non viene inficiata se vi sia una fisiologica interazione nell’esecuzione dell’opera o del servizio tra appaltatore e committente. Neppure l’appalto può definirsi illecito se il capitolato descrive in maniera capillare il servizio da fornire a condizione che, durante la sua esecuzione, sia l’appaltatore a gestire il proprio personale.

MASSIMA

L’appalto di opere o servizi espletato con mere prestazioni di manodopera è lecito purché il requisito “dell’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore”, previsto dall’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, costituisca un servizio in sé, svolto con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore. Ne consegue che, al di là del mero coordinamento necessario per l’esecuzione dell’appalto, il committente deve astenersi da interventi dispositivi e di controllo sui dipendenti dell’appaltatore.

Il CASO

La questione affrontata dalla Cassazione riguarda la richiesta di un lavoratore di costituire un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in capo al committente per via dell’illegittimità dell’appalto. A sostegno della domanda deduceva che in realtà la società committente avesse esercitato nei propri confronti il potere direttivo. A dimostrazione di tale doglianza evidenziava, ad esempio, come fosse stata la società committente a disporre i turni di lavoro.

Sia il Tribunale di Napoli che la Corte D’appello avevano respinto la domanda del lavoratore evidenziando come, al di là di una fisiologica interazione tra committente e appaltatore, non vi fosse stata alcuna ingerenza da parte della prima nella gestione dei rapporti di lavoro dei dipendenti della seconda.

Il ricorso in Cassazione si basa su un unico motivo consistente nella violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del Dlgs 276/2003. Secondo il ricorrente le prove fornite in giudizio dimostravano l’assenza di genuinità dell’appalto. L’appaltatore si era, infatti, limitato a fornire manodopera senza eseguire alcun servizio.

La Corte di Cassazione conferma la sentenza della Corte d’appello di Napoli. Rileva, infatti, come in base all’istruttoria fosse emersa la presenza dei tre elementi che permettono di sostenere la genuinità di un appalto: esercizio del potere direttivo e disciplinare da parte dell’appaltore, la sua capacità organizzativa e rischio d’impresa in capo a quest’ultimo. Era stato, quindi, accertato in entrambi i gradi di giudizio come l’appaltatore non fosse solamente il datore di lavoro formale del ricorrente, come eccepito da quest’ultimo, ma anche sostanziale.

La sussistenza di tali tre requisiti, riporta l’ordinanza, non viene inficiata nel caso in cui vi sia una fisiologica interazione tra committente ed appaltatore nell’esecuzione dell’appalto e nemmeno nel caso in cui il capitolato d’appalto descriva in modo articolato l’opera o il servizio da eseguirsi.

OSSERVAZIONI

L’ordinanza qui brevemente annotata riafferma un consolidato orientamento della Suprema Corte in tema di genuinità dell’appalto.

Come più volte ribadito dalla Suprema Corte (si veda ad esempio Cass Civ. Sez. Lav. del 25 giugno 2020 n. 12807 e Cass Civ. Sez. VI. ord. del 26 giugno 2020 n. 12207) è necessario che sussistano in contemporanea tutti i tre requisiti stabiliti dall’art. 1655 c.c. e dell’art. 29 del dlgs 276/2003, quindi l’organizzazione autonoma, il rischio d’impresa e l’esercizio direttivo del personale impiegato nell’appalto da parte dell’appalto.

Tuttavia in taluni casi accertare la sussistenza di tali tre requisiti può costituire un’operazione ardua da svolgersi.

Proprio perché il contratto d’appalto è finalizzato a rendere un servizio ed un’opera a favore del committente, la giurisprudenza con varie sfumature ammette, nei termini che si spiegheranno di seguito, una correlazione tra quest’ultimo e appaltatore nell’esecuzione dell’appalto.

Ad esempio è possibile che l’appaltatore possa utilizzare alcuni strumenti del committente senza che ciò implichi un’assenza di capacità organizzativa (cfr Cass. Civ. Sez. Lav, ord. del 16 marzo 2022 n.8567). La controprova costituisce sempre nel fatto che l’appaltatore, a prescindere dal singolo appalto, sia in grado di fornire un servizio o un appalto. Se senza la struttura del committente l’appaltatore non è in grado di operare sul mercato, l’appalto non è genuino.

Anche per quanto riguarda il rischio d’impresa vi può essere un’interazione tra committente e appaltatore. Occorre tuttavia verificare se sussista rischio d’impresa: se l’intera prestazione viene prestabilita in maniera capillare e vincolante dal committente. Nella sua sinteticità l’ordinanza in commento sembra escludere che la predeterminazione analitica delle attività da svolgere nel capitolato d’appalto possa escludere il rischio d’impresa comportando l’insussistenza di un appalto genuino.

Tale ricostruzione non viene condivisa, ad esempio, nell’ordinanza n. 17627 del 20 giugno 2023 che, nell’affrontare il caso di un appalto endoeziandale, aveva escluso la genuinità dell’appalto perché la prestazione da svolgersi era stata preordinata capillarmente dal committente nel capitolato d’appalto.

Se dunque si può ritenere che vi possa essere una “parziale intromissione” del committente nell’organizzazione dell’appalto ciò che deve essere sempre escluso è che quest’ultimo eserciti i tipici poteri datoriali nei confronti dei dipendenti dell’appaltatore.

L’effettivo esercizio dei poteri datoriali acquisisce ancora maggiore rilevanza nei cd appalti leggeri nei quali la genuinità dell’appalto può derivare esclusivamente da un’effettiva gestione dei lavoratori poiché in suddetti appalti l’opera o il sevizio commissionato si realizza pressoché tramite il lavoro, con un utilizzo residuale di beni o strumenti materiali.

L’importanza della gestione dei dipendenti ai fini della valutazione della liceità dell’appalto viene chiaramente enunciata, ad esempio, nella sentenza n. 14371 dell’8 luglio 2020. In tale pronuncia la Suprema Corte afferma che in tema d’interposizione nelle prestazioni di lavoro, l’utilizzo, da parte dell’appaltatore, di capitali, strumenti e beni di proprietà del committente costituisce una presunzione iuris et de iure d’interposizione fittizia nell’ipotesi in cui tali conferimenti abbiano un’importanza tale da rendere assente o ininfluente l’apporto e l’organizzazione dell’appaltatore nella gestione ed esecuzione dell’appalto. Questo squilibrio tra il contributo materiale del committente e l’organizzazione messa a disposizione dell’appaltatore nell’esecuzione dell’appalto deve essere valutata dal Giudice anche in considerazione dell’oggetto dell’appalto medesimo. La conseguenza di tale analisi alla quale è chiamato il Giudice nel valutare la genuinità o meno dell’appalto, comporta che la presunzione assoluta d’interposizione fittizia di manodopera non operi qualora vi sia un utilizzo da parte del committente per l’esecuzione dell’appalto commissionato di proprie risorse economiche notevoli oltre a quelle utilizzate per la retribuzione dei lavoratori in esso impiegati, proprie conoscenze specifiche e propri beni immateriali necessari per l’esecuzione dell’opera.

Emblematica in relazione all’affievolirsi dell’importanza della proprietà dei mezzi in un sistema produttivo che in ampi settori si è- o è per sua natura- fortemente dematerializzato è la sentenza del 9 gennaio 2020, n. 251.

In tale pronuncia la Suprema Corte ha ritenuto la legittimità dell’appalto in quanto sussistente la capacità organizzativa ed il rischio d’impresa in capo all’appaltatore nonostante l’utilizzo da parte di quest’ultimo di software di proprietà del committente e l’esistenza di una postazione fissa all’interno dei locali del committente.

Trattandosi di manutenzione di software, i Giudici della Suprema Corte hanno ritenuto la legittimità dell’appalto. L’appaltatore, infatti, gestiva, seppur all’interno dell’impresa committente e sui software di quest’ultima, in piena autonomia l’oggetto dell’appalto che consisteva, per l’appunto, sia nell’attivata di manutenzione dei programmi che in quella di creazione di nuovi programmi per l’impresa appaltatrice.

Per ulteriori informazioni sul tema rivolgersi all’Avv. Francesco Meiffret (info@studiolegalemeiffret.it, studiolegalemeiffret@gmail.com, cell. 3398177244, tel 0184532708) 

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