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CONGEDI, PERMESSI E TRASFERIME...

CONGEDI, PERMESSI E TRASFERIMENTI DI LAVORATORI DISABILI E DI LAVORATORI CON PARENTI DISABILI

CONGEDI, PERMESSI E TRASFERIMENTI DI LAVORATORI DISABILI E DI LAVORATORI CON PARENTI DISABILI

I lavoratori disabili ed i lavoratori che devono assistere parenti disabili possono beneficiare di particolari permessi, sono tutelati da una particolare disciplina in caso di trasferimento e possono godere di un periodo di congedo straordinario.

La condizione affinché si possa accedere a tali benefici è che l’Asl, mediante una commissione ad hoc, certifichi l’handicap e la relativa gravità (art. 4 l. 104/1992).

I PERMESSI E LA DISCIPLINA PER IL TRASFERIMENTO

Per quanto riguarda i permessi, i lavoratori possono beneficiare o di tre giorni di permesso retribuito al mese o di due ore di permesso retribuito al giorno(art. 33 comma 6 l. 104/1992).

In via straordinaria l’art. 24 del D.l. 17 marzo 2020 n. 18 e l’art. 74 del D.l. n. 34/2020 hanno stabilito, per far fronte all’emergenza sanitaria, un’estensione della durata di tali permessi per ulteriori 12 giorni per ciascun mese a partire da marzo 2020 sino a giugno 2020, di fatto estendendo a 15 giorni di permesso ogni mese durante tale periodo.

Nel caso in cui sia lo stesso lavoratore affetto da handicap a beneficiare di tali permessi i genitori, i parenti o gli affini non possono più richiederlo.

I soggetti legittimati a chiedere il permesso sono il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

Oltre a tali soggetti la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 213 del 23 settembre 2016, ha esteso il diritto di usufruire ai permessi retribuiti è stato riconosciuto anche alla parte di un’unione civile e ai conviventi more uxorio dei lavoratori affetti da handicap grave

L’ulteriore condizione è che il lavoratore non si ritrovi ricoverato in una struttura in maniera permanente.

Dal punto di vista economico il lavoratore in permesso affetto da disabilità o il parente lavoratore che lo accudisce ha diritto ad un importo corrispondente alla retribuzione che viene anticipato dal datore di lavoro e posto successivamente a conguaglio con quanto da versarsi all’Inps a livello contributivo.

Bisogna altresì sottolineare che il lavoratore affetto da disabilità o il lavoratore che deve assistere un parente disabile ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio o a quello della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede (art. 33 comma 5 l.104/1992).

In una recente sentenza della Cassazione (Cass. Civ sez. lav. Sent. 1 marzo 2019 n. 6150) è stato precisato che il diritto ai sensi dell’art. 33, comma 5, l.n. 104 del 1992, del lavoratore che assiste un familiare disabile a scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio del congiunto disabile può essere esercitato sia all’atto dell’assunzione, mediante la scelta della sede in cui viene svolta l’attività lavorativa, sia nel corso del rapporto, con una domanda di trasferimento, ove ciò sia possibile e purché sussistano i requisiti oggettivi.

In ultimo come si argomenterà meglio nel prossimo paragrafo dedicato al congedo straordinario, è altresì necessario che i permessi siano effettivamente utilizzati per assistere un familiare disabile. In caso di un utilizzo diverso il lavoratore può essere attinto da licenziamento per giusta causa con il pericolo di dover restituire quanto dallo stesso percepito in relazione ai permessi usufruiti.

CONGEDO STRAORDINARIO

I dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari stabiliti stabiliti dall’art. 2 del D.M 278/2001 un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni.

I gravi e documentati motivi a sostegno della richiesta di congedo familiare devono riguardare componenti della famiglia del lavoratore e rientrare in una delle categorie descritte dall’art. 433 c.c., ovvero parenti o affini entro il terzo grado anche se non conviventi. Oltre a tali soggetti, altresì indicati nel già citato D.M. 276 del 2000, si aggiunge anche il partner all’interno dell’unione civile tra persone dello stesso sesso secondo quanto stabilito dall’art. 1 comma 20 della legge 20 maggio 2016, n. 76

Il lavoratore che ottiene il congedo ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione, bensì ad un indennizzo e non può svolgere altra attività lavorativa.

Come anticipato il lavoratore non ha diritto alla retribuzione, ma di un’indennità che viene versata direttamente dal datore di lavoro salvo particolari casi nei quali è l’Inps ad erogarla (ad es. cassa integrazione anche in deroga, procedura concorsuale nei confronti del lavoratore, accertamento da parte dell’ispettorato del mancato versamento diretto da parte del datore).

L’indennità viene parametrata alle voci fisse dell’ultima retribuzione mensile percepita dal lavoratore prima di usufruire del congedo. E’ previsto un tetto massimo dell’indennizzo annuale indicizzato ogni anno (per l’anno 2020 è pari ad € 36.645,00).

Il periodo di congedo non rileva ai fini della determinazione del TFR, non è computato nell’anzianità di servizio e non è sottoposto al versamento dei contributi da parte del datore di lavoro. In relazione all’anzianità di servizio, giova precisare che esiste un precedente giurisprudenziale (Tribunale di Pavia, sez. lav., ord. 19 settembre 20009) che ha ritenuto che il divieto di discriminazione per ragioni di disabilità deve essere applicato non solo al disabile , ma anche nei confronti di chi assiste quest’ultimo. Il Giudice ha fatto propria l’interpretazione fornita alla direttiva 78/2000 dalla Corte di Giustizia nella sentenza Coleman C-303/06.

Il congedo straordinario per assistere un disabile costituisce un diritto potestativo che non può essere negato dal datore di lavoro.

Il lavoratore che usufruisce del congedo ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, motivo per cui il licenziamento intimato durante il godimento del permesso ed in ragione della sua fruizione è da considerarsi nullo con conseguente diritto alla reintegrazione.

Si precisa che il potere di licenziare del datore di lavoro rimane qualora il licenziamento sia motivato da un giustificato motivo o da una giusta causa che esula dall’utilizzo del permesso in questione (Cass. Civ. 25 febbraio 2019, n. 5425 e Cass. 20 marzo 2018 n. 6893).

Una delle finalità è quella di assistere un parente affetto da disabilità. Al fine di garantire una cura costante e continuativa al soggetto disabile, l’art. 4 comma 2 della l. 8 marzo 2000 n. 53 prevede che il lavoratore che richiede ed ottiene il permesso non possa per l’intera durata della fruizione svolgere attività lavorativa.

Tuttavia in merito a tale divieto, con la sentenza n. 7021 del 25 marzo 2011, la Cassazione ha precisato che lo svolgimento di un’attività saltuaria durante la fruizione del congedo non comporta in automatico la legittimità del licenziamento. Secondo la Suprema Corte occorre valutare in concreto se l’esecuzione della prestazione lavorativa abbia compromesso la finalità di tutela della persona disabile e se tale comportamento possa avere inciso sul vincolo fiduciario con il datore di lavoro. Sulla base di tali presupposti la Cassazione nella pronuncia testé richiamata ha ritenuto non legittimo il licenziamento intimato dal datore di lavoro perché era risultato che il lavoratore aveva svolto 12 ore di lavoro divise in 4 giornate lavorative durante un permesso della durata di due mesi.

Sempre in relazione alle finalità del permesso per assistere parenti affetti da disabilità grave si è discusso sia in dottrina che nella giurisprudenza di merito se sia necessaria la coabitazione nella medesima unità abitativa tra il soggetto che ha richiesto il congedo ed il soggetto da accudire. Sul punto la Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. lav. Sent. 16 febbraio 2017 n. 24470) ha specificato che la convivenza richiesta dalla norma deve essere declinata nel concetto di assistenza assidua e continuativa al familiare portatore di handicap che necessariamente non richiede la coabitazione. Su tale presupposto la Suprema Corte in un’altra pronuncia (Cass. Civ., sez. lav. sent. 5 dicembre 2017, n. 29062) ha sancito l’illegittimità del licenziamento del lavoratore che aveva usufruito del congedo ed era stato trovato in alcune occasioni lontano dal domicilio della persona affetta da disabilità grave ed intento a svolgere attività ricreative. Opportunamente la Cassazione ha evidenziato come al lavoratore che usufruisce del congedo straordinario non possa richiedersi un’assistenza continuativa al punto da annullare la propria vita privata. Anche chi usufruisce del congedo ha diritto a spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, quali la cura dei propri interessi personali e familiari, oltre alle ordinarie necessità di riposo e di recupero delle energie psicofisiche, a condizione che sia garantita un’assistenza permanete, continuativa e stabile.

Dall’altra parte, in relazione al diritto di chi usufruisce del congedo di continuare ad avere spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, sussiste un precedente della giurisprudenza di merito (Trib. di Trapani, sez. lav., sent 19 gennaio 2017) che sancisce che il periodo di congedo straordinario richiesto ed ottenuto non possa essere interrotto dalla richiesta di usufruire delle ferie. Le ferie del soggetto che presta assistenza costituiscono un diritto che retrocede in seconda posizione rispetto alla tutela del soggetto disabile

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