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Tribunale di Rovereto: illegit...

Tribunale di Rovereto: illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto del lavoratore “disabile di fatto”

Tribunale di Rovereto: illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto del lavoratore “disabile di fatto”

Trib. di Rovereto sent. 30 novembre 2023 n. 44

MASSIMA

Al lavoratore “disabile di fatto”, anche nel caso in cui la sua disabilità non sia stata accertata dalla competente commissione medica, non può essere applicato il periodo di comporto stabilito dal CCNL per i lavoratori normodotati. Ne consegue che è nullo il licenziamento per il superamento del periodo di comporto per discriminazione indiretta, qualora il CCNL applicato al contratto individuale del lavoratore non preveda periodi differenziati di comporto tra lavoratori disabili e non disabili. E’, inoltre, nullo il licenziamento qualora al lavoratore “disabile di fatto” sia stato applicato il periodo di comporto per i soggetti non affetti da patologie invalidanti in luogo di quello più lungo previsto dal CCNL per i soggetti disabili.

COMMENTO

Il Tribunale di Rovereto, facendo propria la tesi del ricorrente, ritiene che anche nel caso di “disabilità di fatto”, ovvero non accertata dalla Commissione Medica Asl competente, al lavoratore debba essere applicato un comporto1 di più lunga durata rispetto a quello per i lavoratori normodotati previsto dal CCNL applicato al rapporto di lavoro.

Sulla base di tale presupposto il Giudice accoglie la domanda principale del ricorrente, ritenendo che il licenziamento per superamento del periodo di comporto sia discriminatorio.

Di conseguenza ordina la reintegrazione del ricorrente.

Nel periodo di comporto, infatti, parte datoriale aveva incluso le assenze per malattia causate dalla patologia “gonalgia bilaterale” che, secondo il Giudice, è equiparabile ad una disabilità.

Come già descritto, il Giudice ritiene che applicare il medesimo periodo di comporto a tutti i lavoratori, inclusi i soggetti disabili e senza particolari accorgimenti nei confronti di quest’ultimi, costituisca una forma di discriminazione indiretta. Egli parte dal presupposto che, in attuazione della direttiva 2000/78/CE, l’art. 2 del dgs n. 216 del 9 luglio 2003 preveda due forme di discriminazione: quella diretta e quella indiretta.

L’art. 2 lett. a) del Dlgs 216/2003 precisa che la discriminazione diretta si ravvisa qualora per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o orientamento sessuale, una persona sia trattata meno favorevolmente di quanto sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga.

Nella successiva lett. b) è stabilito che per discriminazione indiretta si intende una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri, ma possono mettere le persone che professano una determinata religione o convincimento personale, le persone portatrici di handicap le e persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto alle altre.

In base alle motivazioni della sentenza, il caso di specie rientra nella seconda ipotesi, cioè di discriminazione indiretta poiché un lavoratore disabile è esposto al rischio ulteriore di assenze dovute a malattie causate dalla sua disabilità. Ne consegue che per cause ad esso non imputabili, il lavoratore disabile è sottoposto ad un maggiore rischio di accumulare giorni di assenza per malattia e, quindi, di superare il cd periodo di comporto (cfr. Corte di Giustizia UE 18/1/2018, causa C-270/16; Corte App. Roma, sez. lav. sent. 26 maggio 2021, n. 2194; Trib. Palermo, sez. lav. sent. 01 aprile 2022, n. 1078).

Sulla base di tale presupposto costituisce discriminazione indiretta la mancata sottrazione dal calcolo del comporto dei giorni di malattia ascrivibili all’handicap del lavoratore con conseguente nullità del licenziamento impugnato (cfr. ex plurimis, Cass. 25 luglio 2019, n. 20204; Corte App. Genova, sez. lav., sent. 21 luglio 2021, n. 211; Trib. Mantova, sez. lav. Sent. 22 settembre 2021, n. 126).

Quindi, una norma apparentemente neutra come quella che disciplina il cd periodo di comporto può, come viene rilevato nella sentenza, comportare una violazione del principio di parità di trattamento stabilito dall’art. 3 Cost. La suddetta ipotesi si verifica quando una disposizione considera in maniera uniforme situazioni invero eterogenee. Un caso è appunto applicare le medesime condizioni in relazione all’istituto del periodo di comporto ad un lavoratore non invalido ed ad uno affetto, invece, da disabilità.

Dunque la sentenza qui brevemente annotata rafforza l’orientamento di merito e di legittimità in base al quale i CCNL devono prevedere un comporto più lungo per i soggetti affetti da disabilità.

La peculiarità della sentenza è che il Giudice afferma che un lavoratore possa essere considerato disabile sotto il profilo giuslavoristico anche se il suo stato invalidante non sia stato ancora legalmente riconosciuto. Ovviamente spetta al lavoratore dimostrare in giudizio, tramite idonea documentazione medica, l’esistenza di una disabilita ancorché non accertata da una commissione medica dell’Inps.

Quel che rileva è la “disabilità di fatto”. il Giudicante, sulla base della documentazione medica prodotta ritiene che la gonalgia bilaterale di cui era affetto il ricorrente dovesse essere considerata una patologia invalidante di lunga durata, idonea ad ostacolare la sua partecipazione in condizioni di parità alla vita professionale. Tale deduzione risulta confermata ulteriormente dalle mansioni svolte dal ricorrente consistente nella movimentazione di pesanti carichi.

Come esplicitamente riportato nella motivazione della sentenza, viene applicata la nozione di disabilità comunitaria ovvero “una limitazione risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori ” (sul punto si veda ad esempio Corte di giustizia UE sez. IV, sent 04 luglio 2013, C-312/11)

In conclusione, a parere di chi scrive la sentenza non presenta punti critici in quanto mira a fornire un’effettiva tutela ad un soggetto discriminato per via di una disabilità che, ancorché non ancora legalmente accertata al momento del licenziamento, comunque sussisteva. Non convince, infatti, la critica alla sentenza di alcuni commentatori che hanno ritenuto essere necessaria la conoscenza del datore di lavoro dello stato di disabilità.

Trattasi di una tutela, per così dire, di natura oggettiva per la semplice esistenza della disabilità. Per questo motivo non rileva l’elemento psicologico e la conoscenza della disabilità. Sul punto è evidentemente possibile effettuare un raffronto con la tutela rafforzata della maternità.

1Si ricorda che per comporto si definisce il periodo massimo di tempo in cui il lavoratore, assente dal luogo di lavoro per infortunio o malattia, ha diritto alla conservazione del posto di lavoro. Per un approfondimento sulla definizione di comporto si rimanda al seguente link http://studiolegalemeiffret.it/il-licenziamento-per-superamento-del-periodo-di-comporto/

Per ulteriori informazioni sul tema rivolgersi all’Avv. Francesco Meiffret (info@studiolegalemeiffret.it, studiolegalemeiffret@gmail.com, cell. 3398177244, tel 0184532708) 

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