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Cassazione sez. lavoro, ordina...

Cassazione sez. lavoro, ordinanza 1 luglio 2019, n. 17635: il c.d. “tempo tuta” rientra nell’orario di lavoro e deve essere, quindi, retribuito.

Cassazione civile sez. lav., ordinanza 1 luglio 2019 n.17635

IL CASO

Alcuni dipendenti dell’Asl con la qualifica di infermieri avevano presentato ricorso dinnanzi al tribunale di Chieti lamentando il fatto che non fosse stato a loro retribuito il tempo necessario per indossare e dismettere il camice da lavoro.

Tale attività era obbligatoria e, inoltre, propedeutica alla prestazione di lavoro.

Il Tribunale di Chieti accoglieva la richiesta dei ricorrenti condannando l’Asl al pagamento delle differenze retributive richieste. Anche la Corte d’Appello dell’Aquila confermava la sentenza di I grado.

L’Asl presenta ricorso in Cassazione asserendo sostanzialmente che il tempo per la vestizione e per la dismissione della tuta non costituisce oggetto della prestazione lavorativa bensì un’attività preparatoria alla stessa che rientra nel dovere di diligenza del lavoratore ai sensi dell’art. 2104 c.c.

Rileva, inoltre, che l’attività di vestizione e dismissione veniva effettuata senza alcun etero direzione da parte dal datore di lavoro. Tale elemento costituisce, in base a precedenti della Suprema Corte riportati dalla ricorrente, la condizione necessaria per far rientrare il tempo necessario per il “c.d cambio tuta” nell’orario di lavoro svolto.

La soluzione adottata dalla sentenza in commento

La questione sottoposta alla Corte di Cassazione è se la vestizione/svestizione possa essere considerata parte della prestazione lavorativa e, quindi, debba essere retribuita.

Per risolvere la questione occorre brevemente analizzare che cosa si intenda per orario di lavoro.

L’attuale definizione di orario di lavoro è presente nell’art. 1 del Dlgs 66/2003 nel quale viene definito come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”. Essa, quindi, prevede che il lavoratore si trovi sul luogo di lavoro e, contestualmente, stia eseguendo la prestazione lavorativa oggetto del contratto di lavoro.

Dall’art. 1 del Dlgs 66/2003 deriverebbe che il tempo impiegato per il “c.d cambio tuta” –che ovviamente non può essere considerato esecuzione della prestazione lavorativa in senso stretto- rientrerebbe tra quelle attività preparatorie o accessorie alla prestazione lavorativa che, quindi, potrebbero non essere retribuite. Costituirebbero piuttosto un adempimento a carico del lavoratore rientrante nel c.d. di obbligo di diligenza ai sensi dell’art. 2104 c.c.

Tale prima interpretazione dell’art. 1 del Dlgs 66/2003 non aveva convinto ed, infatti sia la dottrina che la giurisprudenza maggioritaria erano giunte alla convinzione che se vi era uno stretto collegamento tra i vestiti e l’attività di lavoro da svolgersi, il tempo impiegato per la vestizione/svestizione avrebbe dovuto includersi nell’orario di lavoro.

Ad esempio se la divisa costituisce una tutela in relazione all’attività da svolgersi o un segno distintivo, in questi casi il tempo impiegato per effettuare la vestizione/svestizione avrebbe dovuto considerarsi orario di lavoro.

La seconda corrente giurisprudenziale, e attualmente maggioritaria, afferma che affinché il tempo per la vestizione/svestizione rientri nell’orario di lavoro, detto adempimento deve essere vincolato sia dal punto di vista spaziale che temporale dalle determinazioni del datore di lavoro. In altri termini anche tali azioni devono essere sottoposte all’eterodirezione del datore di lavoro, esattamente come la prestazione lavorativa principale (Cass. Sez. Lav. 7 giugno 2012, n. 9215).

Per contro nel caso in cui il lavoratore sia libero di stabilire i tempi ed i luoghi in cui effettuare il cambio di vestiti, questi atti fuoriescono dal concetto di orario di lavoro, ma devono considerarsi adempimenti preliminari alla prestazione lavorativa di talchè non vanno retribuiti (Cass., sez. Lav., 25 giugno 2009, n. 14919).

La sentenza in commento fa parte di un terzo orientamento che costituisce un’appendice del secondo ed ha il pregio di specificare che l’etero direzione possa manifestarsi implicitamente dalla necessità dell’utilizzo di particolari indumenti sul luogo di lavoro per questioni, ad esempio, di sicurezza e d’igiene. La particolarità della sentenza in commento è che effettua una “crasi” delle due correnti precedenti volte a riconoscere la retribuzione del tempo impiegato per il c.d. cambio tuta qualora sia eterodiretto.

Nel caso di specie gli Ermellini rilevano come il tempo necessario per indossare il camice e gli altri indumenti da lavoro da parte degli infermieri debba essere retribuito per la specifica funzione di tutela alla salute che essi devono assolvere nello svolgimento della prestazione.

Possono, quindi, determinare un obbligo di indossare la divisa sul luogo di lavoro ragioni d’igiene (il camice sterile nell’ambito sanitario) o di sicurezza (tuta ignifuga se si lavora ad elevate temperature) imposte dalla prestazione da svolgere. Se sussistono tali ragioni strettamente connesse alla prestazione lavorativa e gli indumenti siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili fuori dal contesto lavorativo secondo un criterio di normalità sociale, il lavoratore ha diritto alla retribuzione per il tempo impiegato per vestirsi e svestire tali indumenti che possono essere equiparabili all’utilizzo di strumenti di lavoro (in senso conforme all’ordinanza commentata Cass. Civ. sez. lav., 26 gennaio 2016, n. 1352).

Per concludere il discorso sia concesso evidenziare come molti contratti collettivi, onde evitare contenziosi giudiziari, esplicitamente stabiliscano che il tempo cambio tuta debba essere retribuito, stabilendo altresì il tempo massimo per compiere gli adempimenti di vestizione e svestizione.

Rimanendo in ambito sanitario il contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al comparto sanità sottoscritto il 21 maggio 2018 ( CCNL comparto SANITA’ definitivo_sito ) espressamente stabilisce all’art. 27 comma 12 che il cambio tuta debba essere retribuito quantificando il tempo necessaria per la vestizione/svestizione in 10 minuti giornalieri.

 

 

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