Reclamo Tribunale di Belluno: è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale in merito all’obbligo per i dipendenti sanitari di sottoporsi al vaccino anticovid
- 3 Giugno 2021
- Avv. Francesco Meiffret
- Legal Blog
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Reclamo Tribunale di Belluno: è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale in merito all’obbligo per i dipendenti sanitari di sottoporsi al vaccino anticovid
IL FATTO
Alcune Oss di una casa di cura situata all’interno della provincia di Belluno avevano presentato ricorso d’urgenza ex art. 700 cpc avverso il provvedimento datoriale di collocazione in ferie forzate a seguito del loro rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione anticovid.
Il ricorso era stato respinto con ordinanza del 19 marzo 2021 sulla base del presupposto che la presenza dei ricorrenti sul luogo di lavoro avrebbe comportato una violazione dell’art. 2087 c.c. che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità psicofisica dei propri dipendenti. Tra queste vi rientrava secondo il Giudice il vaccino anti covid 19 anche alla luce della situazione di emergenza sanitaria causata dal virus e alla comprovata efficacia del vaccino.
Il Giudice proseguiva evidenziando come fosse annoverato tra le prerogative datoriali ex art. 2109 c.c. stabilire, in base alle esigenze dell’impresa, il periodo nel quale i dipendenti possono usufruire delle ferie.
Avverso l’ordinanza di rigetto le ricorrenti presentavano reclamo, pur dando atto che nelle more del procedimento era entrato in vigore, in data 1 aprile, l’art. 4 del D.L. 44/2021 che impone la vaccinazione anticovid ai dipendenti sanitari, evidenziavano l’illegittimità del comportamento datoriale che ancor prima dell’obbligo di legge aveva imposto a loro le ferie.
Chiedevano, inoltre, che venisse sollevata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 4 perché in violazione dell’art. 32 della Costituzione.
Parte datoriale resisteva al reclamo evidenziando in via preliminare il difetto d’interesse d’agire alla luce dell’obbligo vaccinale introdotto dal Legislatore. Nel merito insisteva per la legittimità del proprio operato al fine di tutelare la salute degli altri dipendenti e degli ospiti della casa di riposo.
La questione
L’ordinanza in commento analizza se sussistano i requisiti per sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del DL 44/2021 in relazione all’art. 32 della Costituzione. In altri termini se l’obbligo di vaccinarsi contro il covid 19 dei dipendenti delle strutture sanitarie sia in contrasto con il loro diritto alla salute e se possa essere imposto dallo Stato ai cittadini la somministrazione di un vaccino senza il loro consenso.
La decisione del Collegio
Il Collegio accoglie la questione preliminare sollevata dal datore di lavoro volta a far accertare la carenza dell’interesse di agire. Evidenzia come l’art. 4 del D.L. 44/2021, che ha stabilito l’obbligo di vaccinazione per i dipendenti delle strutture sanitarie, faccia venire meno l’interesse di agire delle ricorrenti poiché l’accertamento in questione non comporterebbe alcuna eccezione all’obbligo giuridico introdotto. Sul punto il Collegio si richiama alla sentenza della Cassazione Civ. Sezione II, n. 2057 del 24 gennaio 2019 che stabilisce che l’interesse ad agire deve essere anche declinato nella possibilità di ottenere un provvedimento giuridico apprezzabile, cioè capace di comportare modifiche nella sfera giuridica dell’interessato, ipotesi irrealizzabile nel caso di specie alla luce dell’introdotto obbligo da parte del Legislatore.
Il Collegio prosegue nella motivazione del rigetto evidenziando come sia manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del D.L. 44/2021. Nel motivare la questione sull’infondatezza Il Collegio si richiama a vari precedenti pronunce della Corte Costituzionale (si veda ad es. Corte Cost n. 5 del 18 gennaio del 2018) che hanno sancito che tramite disposizione legislativa nazionale, quindi riserva di legge statale assoluta, è possibile introdurre l’obbligo vaccinale a carico del singolo qualora tale scelta si renda utile per la tutela della salute collettiva.
Alla luce di tali precedenti della Corte Costituzionale, il Collegio rigetta anche la questione di costituzionalità sollevata dalle ricorrenti.
OSSERVAZIONI: L’OBBLIGO VACCINALE ALLA LUCE DELLE PRONUNCE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Occorre partire da un dato imprescindibile al fine di sgomberare qualsiasi dubbio: nel nostro ordinamento, lo Stato, in presenza di determinate condizioni, può imporre l’obbligo di vaccinazione e questa possibilità la si ricava dall’art. 32 della Costituzione.
L’ordinanza in commento, come già precisato, richiama precedenti pronunce della Corte Costituzionale che hanno sancito la possibilità per lo Stato italiano di rendere obbligatoria la vaccinazione.
A parere di chi scrive una delle più rilevanti è la sentenza n. 268 del 14 dicembre 2017 ( SEnt Corte Cost 14 dicembre 2017 n. 268 ). In detta pronuncia i Giudici delle leggi fissano quali siano le condizioni affinché il singolo possa essere obbligato alla vaccinazione. Essa può essere imposta qualora il “trattamento obbligatorio sia diretto non solo a migliorare o preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche quello degli altri”.
In tale arresto la Corte evidenzia che, al fine di sancire l’obbligatorietà della vaccinazione, oltre le finalità devono essere presi in considerazione anche il contesto temporale e lo stato di pericolo per il quale si richiede che la collettività sia sottoposta d’autorità ad un trattamento farmacologico. In altri termini devono essere rispettati i principi di proporzionalità e ragionevolezza.
L’analisi del contesto costituisce la base anche della successiva sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018 che ha ribadito l’esistenza di un obbligo vaccinale nel nostro ordinamento.
In quell’occasione la disposizione incriminata era il D.L. 73/2017 che prevede dieci vaccinazioni da somministrasi ai figli minori.
La Corte Costituzionale giustifica il rafforzamento dell’obbligo vaccinale per i minori alla luce della notevole diminuzione dei vaccini fatti somministrare dai genitori ai propri figli sulla base di giustificazioni e preoccupazioni che nulla hanno di scientifico. Tale rifiuto alla vaccinazione aveva comportato il riacutizzarsi di patologie virali che erano state quasi debellate nel nostro paese.
Sul punto si è pronunciata anche la Gran Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo nella recentissima sentenza dell’8 aprile 2021 (ricorsi 47621/13 e altri) nella causa Vavřička e altri contro la Repubblica Ceca. In tale pronuncia i Giudici di Strasburgo affermano che la possibilità di imporre ai genitori di vaccinare i figli e l’obbligo di vaccinazione deciso dallo Stato per la tutela della salute pubblica non è una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo smentendo ancora una volta le quanto mai approssimate dichiarazioni dei no vax che in maniera volutamente imprecisa e del tutto al di fuori da ogni contesto storico sostenevano che nel processo di Norimberga fosse stato dichiarato che la somministrazione di farmaci contro la volontà di un soggetto è un crimine contro l’umanità. Tale affermazione era riferita alla sperimentazione effettuata sui deportati nei campi di concentramento da parte dei medici nazisti ed in particolar modo dal tristemente noto Yosef Menghele.
La sentenza 5 del 18 gennaio 2018 ( Sentenza Corte Cost n. 5 18 gennaio 2018Sentenza Corte Cost n. 5 18 gennaio 2018 ) e quella successiva 137 del 6 giugno del 2019 (Sent Cort Cost n. 137 del 6 giugno 2019 )specificano come l’obbligo vaccinale sia sottoposto a riserva di legge statale esclusiva e non possa essere stabilito, invece, da norme di carattere regionale.
L’ART. 4 del DL 44/2021 E L’OBBLIGO DI SOTTOPORSI AL VACCINO ANTICOVID PER COLORO CHE LAVORANO NELLE STRUTTURE SANITARIE ED OSPEDALIERE
Alla luce della disamina della situazione del nostro paese (e anche mondiale) l’obbligo di imporre il vaccino all’intera popolazione sarebbe più che giustificato. Il numero probabilmente anche sottostimato di 126.000 morti nell’arco di poco più di un anno e nonostante tutte le limitazioni alla circolazione, il fatto che il sistema sanitario nazionale più volte abbia rischiato di non essere in grado di fornire cure sufficienti a tutti coloro che ne avevano bisogno e la crisi economica e sociale che è derivata dal blocco di interi comparti economici sarebbero ragioni più che sufficienti per imporre il vaccino.
Il Legislatore, tuttavia, ha optato, probabilmente per via di un’applicazione estremamente ortodossa del principio di proporzionalità e ragionevolezza, per rendere obbligatorio il vaccino solamente per coloro che lavorano nell’ambito sanitario raccomandando fortemente il vaccino per il resto della popolazione.
Nell’ambito sanitario l’obbligo vaccinale si rende necessario non solo come forma di tutela del singolo lavoratore, ma anche al fine di preservare risorse umane in grado di continuare ad erogare un servizio di rilevanza fondamentale in una situazione sanitaria che per diversi mesi è stata ai limiti del collasso.
In ultimo, ma non per importanza, il vaccino anticovid somministrato agli operatori sanitari si prefigge lo scopo di evitare che gli stessi dipendenti diventino veicoli di diffusione del virus all’interno delle strutture ospedaliere andando ad aggravare il quadro clinico di coloro che sono ricoverati.
Implicitamente l’ordinanza in commento stabilisce che i requisiti stabiliti dai Giudici delle leggi siano soddisfatti dall’art. 4 del DL 44 del 1 aprile 2021.
L’Art. 4 del citato decreto stabilisce che l’esercizio delle professioni sanitarie sia subordinato al requisito che il lavoratore si sia sottoposto alla vaccinazione anticovid.
Tale condizione per accedere al lavoro nel comparto sanitario sarà richiesta sino alla completa attuazione del piano vaccinale, ma comunque non oltre il 31 dicembre 2021.
La norma stabilisce che l’obbligo è rivolto agli esercenti le professioni sanitarie e agli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali.
Nel caso in cui un lavoratore appartenente alle categorie sopra descritte rifiuti la vaccinazione sulla base di non documentate motivazioni di salute, il datore di lavoro deve adibirlo, se possibile, a mansioni anche inferiori con conseguente parametrazione dello stipendio alle mansioni effettivamente svolte. E’ necessario che il demansionamento sia finalizzato a svolgere mansioni che non comportino il rischio di diffusione del contagio.
Qualora non sia possibile un demansionamento in grado di prevenire rischi di diffusione del contagio, il lavoratore deve essere sospeso senza retribuzione sino al termine della campagna vaccinale e comunque entro al massimo il 31 dicembre 2021.
La struttura della norma, quindi, permette di affermare come essa non sia in contrasto con l’art. 32 della Costituzione.
Essa delimita l’obbligo ad una determinata categoria di soggetti e per un lasso di tempo limitato (al massimo entro il 31 dicembre), prevedendo, come si è descritto, esenzioni a favore di coloro che possano subire gravi pregiudizi dall’inoculazione del vaccino a causa del loro stato di salute.
Il principio di ragionevolezza e proporzionalità può dirsi rispettato non solo per via della scelta di limitare l’obbligo vaccinale ad una determinata categoria di persona, ma anche sotto il profilo delle conseguenze derivanti dall’inottemperenza a tale obbligo.
Il Legislatore ha optato non per la drastica sanzione del licenziamento bensì, a determinate condizioni, per una sospensione non retribuita limitata nel tempo.
Per le altre categorie il Legislatore, muovendosi di pari passo con gli altri paesi comunitari, ha optato per la cd raccomandazione vaccinale prevedendo per coloro che non si sottopongono al vaccino limitazioni agli spostamenti o condizioni per poter partecipare ad avvenimenti pubblici.