DANNO BIOLOGICO TERMINALE RICONOSCIBILE AGLI EREDI NEL CASO DI SOPRAVVIVENZA DELLA VITTIMA SUPERIORE ALLE 24 ORE
- 24 Giugno 2021
- Avv. Francesco Meiffret
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DANNO BIOLOGICO TERMINALE RICONOSCIBILE AGLI EREDI NEL CASO DI SOPRAVVIVENZA DELLA VITTIMA SUPERIORE ALLE 24 ORE
Cass. Civ., sez. VI, ord. 6 ottobre 2020 n. 21508
MASSIMA
Il danno biologico terminale è riconoscibile agli eredi nel caso in cui la vittima sopravviva, indipendentemente dal fatto che sia stata cosciente o meno, almeno 24 ore, soglia minima prevista affinché in ambito medico legale sia riconosciuta l’invalidità temporanea.
IL FATTO ANALIZZATO DALLA SENTENZA
Tizio muore in un incidente stradale. Sia il Tribunale di Milano che la Corte d’Appello avevano riconosciuto un concorso di colpa di Tizio ai sensi dell’art. 2054 c.c. Conseguentemente avevano ridotto notevolmente il risarcimento del danno non patrimoniale in favore dei genitori di Tizio, escludendo tra l’altro, la risarcibilità a favore di costoro del danno biologico iure hereditatis.
I genitori di Tizio presentano ricorso in Cassazione contro la sentenza d’appello lamentando sia la ricostruzione dei fatti di entrambi i gradi di merito in base ai quali è stato riconosciuto un concorso di colpa del loro figlio.
Oltre a tale motivo deducono la violazione e falsa applicazione degli art. 1223,1226 2043, 2056 e 2059 c.c. per non avere ritenuto la Corte d’Appello risarcibile il danno biologico iure hereditatis pur essendo trascorso un apprezzabile periodo di tempo tra il sinistro e la morte durante il quale il loro figlio è rimasto cosciente.
LA DECISIONE
La Sesta Sezione, con ordinanza, dichiara non accoglibili i primi 5 motivi di ricorso nei quali i ricorrenti censuravano la ricostruzione dei fatti così come prospettata nella sentenza di I grado e confermata de plano dalla Corte d’Appello evidenziando come le richieste vertessero su questioni di merito non valutabili in Cassazione.
Accoglie, invece, il sesto motivo con il quale i ricorrenti richiedevano il risarcimento del danno biologico iure hereditatis.
La Corte conferma l’orientamento costante a seguito della sentenza a Sezioni Unite del 22 luglio 2015 secondo il quale tale tipologia di danno è risarcibile qualora tra la lesione ed il sinistro sussista “un apprezzabile lasso di tempo”.Secondo l’ordinanza in commento tale voce di danno è riconoscibile se la sopravvivenza all’evento lesivo è superiore alle 24 ore. La Corte precisa che per tale specifica voce di danno a nulla rileva che la vittima sia stata cosciente o meno nell’intervallo di tempo tra l’evento lesivo e la morte.
Poiché nel caso in esame la vittima era sopravvissuta per oltre 48 ore dal momento del sinistro, è accoglibile la richiesta dei ricorrenti di ottenere il risarcimento del danno biologico terminale.
In relazione al danno morale da lucida agonia la Suprema Corte precisa che è elemento imprescindibile che la vittima abbia avuto coscienza della propria fine imminente con un onere probatorio rigoroso a carico di chi agisce per ottenere tale voce di danno.
Alla luce di quanto sopra la Corte cassa con rinvio la sentenza della Corte d’Appello in altra composizione rimettendo a quest’ultima la decisione sulla quantificazione del danno biologico terminale.
ANALISI DELLE VARIE VOCI DI DANNO RISARCIBILI AGLI EREDI DELLA VITTIMA
L’ordinanza in commento permette di affrontare la tematica dei c.d. danni terminali, consistenti nei danni di natura non patrimoniale patiti dalla vittima nel lasso temporale tra l’evento lesivo e la successiva morte, e della loro risarcibilità agli eredi.
Preliminarmente occorre rammentare come il danno alla vita, il cd danno tanatologico, non possa essere risarcito agli aventi causa poiché il bene vita è un diritto personalissimo. La morte consiste non in una menomazione del bene salute, ma è l’opposto del bene vita il quale, per le caratteristiche di diritto personalissimo, non è risarcibile per equivalente (Cass. Sez. Unite, sent. 22 maggio 2015, n. 15350).
Partendo dal presupposto ormai pacifico che possa sussistere un danno terminale trasmissibile agli eredi, il problema tuttora aperto è la quantificazione e la determinazione delle varie voci da risarcire. La giurisprudenza e gli operatori del diritto in generale, abbandonati dal Legislatore che ha abdicato dal proprio potere di regolare tali fattispecie, sono costretti a camminare in un sentiero tortuoso caratterizzato dal perenne rischio di cadere nella duplicazione del danno risarcito o di non fornire un equo ristoro a seguito dall’evento dannoso.
Seppur con qualche difficoltà e distinguo dal punto di vista terminologico, ad oggi si può ragionevolmente sostenere che gli aventi causa di una vittima di un sinistro possano ottenere in giudizio il risarcimento del cd danno catastrofale, altresì definito morale terminale o catastrofico o da lucida agonia che si manifesta nella sofferenza patita dalla vittima nell’intervallo di tempo tra l’evento ed il decesso.
La condizione per la risarcibilità di tale voce di danno è che la vittima rimanga cosciente dopo il sinistro e, quindi, comprenda la gravità della propria condizione di salute e percepisca l’imminente concretizzarsi della propria morte (cfr. ex plurimis Cass Civ. Sez. III, sent.. 23 ottobre 2018 n. 26727). Vi sono solo alcune pronunce più risalenti che hanno riconosciuto la risarcibilità di tale tipologia di danno indipendentemente dal fatto che la vittima fosse cosciente o meno nell’intermezzo tra l’evento lesivo della salute e la morte (cfr. Cass. Civ. Sez. III, sentenza n. 5 luglio 2019 n. 18056).
Dall’altra parte è stato escluso il risarcimento nel caso in cui la vittima seppur cosciente non abbia realizzato l’avvicinarsi della morte perché l’evento morte è stato imprevedibile ed inaspettato. Nella pronuncia del 13 giugno 2014 n. 13537 la Corte di Cassazione riafferma il principio in base al quale il risarcimento del danno catastrofale si prefigge lo scopo di ristorare l’angoscia della vittima principale causata dalla presa di coscienza dell’avvicinarsi inesorabile della morte. Se tale stato psicologico non si è verificato perché, ad esempio, la morte è da considerarsi un evento inaspettato rispetto all’illecito subito, tale voce di danno non può essere risarcita.
Mentre nel caso del danno biologico terminale, come meglio si descriverà infra, la liquidazione può basarsi sulle c.d. tabelle relative all’invalidità temporanea, nell’ipotesi di danno catastrofale la determinazione dell’entità del risarcimento, secondo la giurisprudenza prevalente, non può che avvenire mediante un criterio equitativo puro che prenda in considerazione l’enormità del pregiudizio, poiché tale danno benchè temporaneo comporta la morte dell’individuo (cfr. ex plurimis Cass. Civ., sez. III, sent. 26 giugno 2015, n.13198, sez. III).
L’altra macro categoria è classificabile come il danno biologico terminale consistente nella lesione dell’integrità psicofisica della vittima nel medesimo arco temporale tra l’evento lesivo e la morte e risarcibile secondo parametri medici.
A differenza del danno terminale non è necessaria una percezione cosciente della vittima del danno cagionato alla propria salute (cfr. ex plurimis Cass. Civ., Sez. III, sent. 19 ottobre 2016, n. 21160; Cass. Civ. sez. III, sent. 28 agosto 2007, n.18163).
Il discrimine nella quantificazione e riconoscimento di tale tipologia di danno è la determinazione della durata di quel “ragionevole lasso di tempo tra l’illecito e la morte”.
Nel caso di cui trattasi l’ordinanza in commento ritiene sufficiente una sopravvivenza pari o superiore alle 24 ore. Tale opzione viene motivata su parametri medici poiché costituisce l’unità di tempo per il calcolo dell’invalidità temporanea. Dunque il punto di partenza nel determinare la somma da liquidarsi a titolo di danno biologico terminale è costituito dall’inabilità temporanea. Sul punto si precisa che a partire dal 2018 l’Osservatorio del Tribunale di Milano ha predisposto una tabellazione anche per il danno cd. terminale.
Cionondimeno il Giudice dovrà tenere conto nella liquidazione del danno delle circostanze del caso concreto e del fatto che, pur costituendo un’invalidità per così dire temporanea, ha comportato un danno massimo nella sua entità ed intensità avendo cagionato la morte della vittima (Cass. Civ. Sez. VI,sent. 30 ottobre 2009, n. 23053; Cass., 23 febbraio 2004, n. 3549 Cass. n. 28423/08, n. 458/09).
Seppur l’orientamento maggioritario sia quello di riconoscere il risarcimento del danno biologico terminale se la sopravvivenza è durata almeno 24 ore al fine di parametrarne la liquidazione all’invalidità temporanea quantificando il pregiudizio nella misura massima perché provoca la morte, bisogna tuttavia rilevare che esistono pronunce che riconoscono il danno biologico terminale anche nel caso di sopravvivenza inferiore alle 24 ore (Cass. Civ., sez. III, sent. 20 febbraio 2015, n. 3374). A tal proposito emblematica è il caso affrontato dal Tribunale di Torre Annunziata, sezione II, con la sentenza n. 1943 del 10 settembre 2019. Nel caso di cui trattasi era stato riconosciuto il risarcimento agli eredi del danno biologico terminale a favore degli eredi e a carico della struttura sanitaria poichè l’uomo era stato morto dopo dodici ore di ricovero con dolori lancinanti al torace senza che gli fosse stato effettuato alcun esame specifico.
In ultimo anche in relazione alla quantificazione del danno alcune pronunce di merito si sono discostate dall’utilizzare come termine di quantificazione il valore attribuito ad ogni giorno di invalidità temporanea, prediligendo l’utilizzo dei valori stabiliti dalle tabelle per il danno permanente. Tale ipotesi si è verificata soprattutto in casi in cui vi è stato un notevole lasso di tempo tra l’evento e la morte (si veda ad esempio Tribunale di Firenze sentenza 31 gennaio 2017 nella quale è stato liquidato agli eredi un danno permanente pari ad € 700.000,00 poiché la vittima era rimasta in agonia per oltre 4 anni).