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Socio lavoratore di una srl: non sono dovuti i contributi sugli utili non distribuiti

Socio lavoratore di una srl: non sono dovuti i contributi sugli utili non distribuiti

Trib Foggia sez. Lav sent. 17 settembre 2024

Non rientrano nell’imponibile previdenziale del socio lavoratore di una srl gli utili non distribuiti dalla società.

È quanto stabilito dalla sentenza della sezione lavoro del Tribunale di Foggia pronunciata il 17 settembre 2024. Il Giudice accoglie la tesi del socio lavoratore in base alla quale la base imponibile sulla quale calcolare quanto dovuto a titolo di contributi è limitato al reddito conseguito dalla persona fisica.

Il socio lavoratore aveva presentato opposizione all’avviso di addebito Inps con il quale veniva richiesto il pagamento dei contributi a percentuale oltre il minimale prendendo come base imponibile gli utili della società non distribuiti.

Secondo la tesi del socio lavoratore ricorrente, poiché gli utili della società non erano stati distribuiti, questi non avevano ingenerato ulteriore reddito a suo favore da considerare come base imponibile per il calcolo dei contributi.

Il Tribunale accoglie le difese del socio lavoratore ed annulla l’avviso di addebito Inps. Come sostenuto dal socio lavoratore sino a quando l’utile esso rimane nella disponibilità dello società e non del socio e costitusice reddito ai fini Ires e non ai fini Irpef. Detto utile non distribuito può essere utilizzato dalla società per i propri scopi sociali, ad esempio per coprire eventuali perdite precedenti od imputato a riserva. In futuro può essere distribuito ad una diversa compagine societaria alla quale il socio lavoratore potrebbe anche non farne più parte.

Sulla base di questi elementi il Giudice evidenzia come in ambito previdenziale trovi applicazione il principio dell’effettivo conseguimento del reddito da sottoporre a contribuzione.

L’impostazione dell’Inps, invece, fa leva sul concetto di “reddito virtuale” che, per ad esempio le ragioni appena sopra riportate, può anche non concretizzarsi.

Inoltre l’art. 47 del TUIR stabilisce espressamente che gli utili societari costituiscano reddito per i soci solamente a seguito della loro distribuzione. Ne consegue che in mancanza di distribuzione, l’utile esuli dalla fattispecie reddituale e sia, pertanto, esente dall’obbligazione contributiva.

La sentenza, quindi, riafferma un filone sviluppatosi all’interno delle corti di merito (si veda Corte appello Firenze sez. Lav. sen 20 dicembre 2023 n.555, Corte appello Firenze sez. Lav. sen 20 dicembre 2023 n.555) volto a contrastare un’interpretazione onnicomprensiva di reddito ai fini previdenziali applicata dall’Inps.

Oltre alle motivazioni riportate nella sentenza qui brevemente annotata è opportuno rammentare come l’art. 3 bis del D.L. n. 384/1992, convertito dalla l. n. 438/1992, stabilisca che il totale dovuto a titolo di contributi da artigiani e commercianti sia “rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini irpef per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono”

Se ai fini Irpef rilevano esclusivamente gli utili distribuiti e percepiti, lo stesso principio, in base alla norma appena richiamata, deve trovare applicazione per l’obbligazione contributiva che ne consegue.

Al fine di fornire un quadro esaustivo del caso trattato nella sentenza in commento è opportuno brevemente descrivere le motivazioni giuridiche, a giudizio di chi scrive erronee, per le quali l’Inps ritiene che gli utili anche se non distribuiti debbano costituire base imponibile.

Tali ragioni sono esplicitate nelle circolari nn 32/1999 e 102/2003 che -ovviamente- non rientrano nelle gerarchia delle fonti.

Dalla lettura delle suddette circolari si evince come l’Inps effettui un parallelismo con il regime contributivo delle società di persone. Per le società di persone l’art. 5 del TUIR prevede in automatico l’applicazione del cd “regime di trasparenza fiscale” in base al quale “i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”. Tale automatismo non esiste per le società di capitali. Gli artt. 115 e 116 del TUIR prevedono l’applicazione del cd regime di trasparenza – quindi imputazione del reddito prodotto direttamente ai soci – solo nel caso di specifica opzione della società. Ma nel caso affrontato dal Tribunale di Foggia la Srl non aveva optato per il cd regime di trasparenza.

Ne consegue che in caso di applicazione del sistema impositivo “non trasparente”, come nel caso che ci occupa, gli utili verranno tassati ai fini Ires in capo alla società. E, nel caso di loro distribuzione, una seconda volta in capo ai soci. Solo una volta verificatosi questo secondo passaggio, ovvero dell’effettiva distribuzione, l’utile potrà essere inglobato nella base imponibile per il calcolo dei contributi in misura percentuale.

Per completare la questione in conclusione è opportuno precisare che anche nel caso di applicazione del cd regime di trasparenza da parte di una società di capitali è necessario che sussista un’altra condizione affinché gli utili distribuiti rientrino nella base di calcolo per il versamento dei contributi. Occorre che il socio abbia prestato un’attività lavorativa a favore della società per cui partecipa. Come ancora recentemente affermato nell’ordinanza n.22901 del 19 agosto 2024 i redditi derivanti dalla mera partecipazione ad una società di capitali non concorrono mai a costituire la base imponibile a fini previdenziali. Tale esclusione si verifica anche nell’ipotesi in cui il socio che detiene partecipazioni sociali svolga attività lavorativa per altri soggetti e per la quale si applica la tutela previdenziale obbligatoria.

In conclusione si può affermare affermare quanto segue:

a) non sussiste mai l’obbligazione contributiva qualora il socio non presti la propria attività lavorativa all’interno della società medesima. In questo caso gli utili distribuiti costituiscono reddito da capitale e non da lavoro. Questo principio può dirsi ormai pacifico alla luce delle numerose pronunce sulla questione dal parte della Suprema Corte.

b) nel caso in cui il lavoratore presti attività lavorativa a favore della società di cui è socio è necessario che gli utili siano effettivamente distribuiti o che la società di capitale abbia optato per il regime di trasparenza come nella società di persone. Soltanto in presenza di una di queste due ipotesi l’utile concorre alla base imponibile per il calcolo dei contributi.

Per ulteriori informazioni sul tema rivolgersi all’Avv. Francesco Meiffret (info@studiolegalemeiffret.it, studiolegalemeiffret@gmail.com, cell. 3398177244, tel. 0184532708) 

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