Cass., Sez. III, ord. 02.10.2020 n. 21243: concessa la protezione internazionale al richiedente dichiaratosi omosessuale
- 27 Novembre 2020
- Avv. Francesco Meiffret
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Cass., Sez. III, ord. 02.10.2020 n. 21243: concessa la protezione internazionale al richiedente dichiaratosi omosessuale
Cass., Sez. III, ord. 02.10.2020 n. 21243
MASSIMA
Merita accoglimento il ricorso di un richiedente protezione internazionale, di cittadinanza nigeriana, il quale manifesta il timore di poter, di nuovo, essere sottoposto a persecuzioni nella sua Patria, ove l’omosessualità è penalmente punita, rappresentando quest’ultima situazione una grave ingerenza nella vita della persona, tale da comprometterne irrimediabilmente la libertà individuale.
Il CASO
Un cittadino nigeriano, giunto in Italia, chiedeva alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, nelle tre forme graduate ed alternative tra loro dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della tutela per motivi umanitari.
A sostegno della sua richiesta l’interessato adduceva di aver subito in Nigeria atti persecutori, dovuti al suo orientamento sessuale. Nello specifico, citava l’episodio, nel quale era stato sorpreso da alcuni abitanti del suo villaggio, mentre si era appartato con un altro uomo e, per tale motivo, era stato inseguito e malmenato da questi ultimi. Il richiedente concludeva di essere fuggito dal suo Paese d’origine, stante la paura di subire nuove aggressioni da parte di membri della sua comunità e la sussistenza, da lui ritenuta, del rischio di essere incarcerato dalle Autorità locali per il reato di omosessualità.
A seguito di audizione personale, la Commissione Territoriale decideva di non riconoscere la protezione internazionale. Nei confronti di questa decisione veniva proposto ricorso innanzi alla Sezione Specializzata del Tribunale di Venezia. All’esito del procedimento, il giudice di primo grado decideva per il rigetto della domanda, motivato dalla non credibilità del racconto reso dal richiedente, della cui omosessualità, peraltro, era consentito dubitare.
Successivamente, tale ordinanza del 12 gennaio 2018 veniva impugnata di fronte alla Corte d’Appello di Venezia, la quale riconfermava quanto già stabilito con la sentenza n. 3299 del 10 agosto 2019, facendo proprie le argomentazioni del Tribunale del capoluogo veneto.
A questo punto, il difensore del ricorrente formulava ricorso in cassazione, lamentando l’omesso esame di fatti decisivi per la decisione ex art. 360, c. 1, n. 5 c.p.c., poiché il giudice di secondo grado, pur in presenza di prove allegate dal conchiudente, non aveva minimamente preso in considerazione le conseguenze giuridiche, alle quali il richiedente, con tendenze omosessuali, potrebbe andare incontro nell’ordinamento interno della Repubblica federale nigeriana.
LA SOLUZIONE PROPOSTA DALLA SUPREMA CORTE
La Corte accoglie l’unico motivo di ricorso, avanzato dal richiedente protezione internazionale, osservando che la Corte territoriale era incorsa in un duplice errore, di cui uno in procedendo e l’altro in iudicando.
Quanto al primo, la Sezione III precisava che il giudice di merito non spiegava i motivi, in forza dei quali la narrazione del ricorrente era ritenuta non credibile, in particolare, nella parte in cui lo stesso dichiarava la propria omosessualità.
D’altro canto, gli Ermellini, richiamando una loro recentissima pronuncia dello stesso segno (Cass., Sez. III, Ord. n. 8819 del 12.05.2020), rilevavano che: “… la valutazione delle dichiarazioni del richiedente asilo in sede giurisdizionale non possa ritenersi volta alla capillare e frazionata ricerca delle singole, eventuali contraddizioni, pur talvolta esistenti, insite nella narrazione della sua personale situazione …”.
Tale argomentazione giuridica si basa, come da consolidato insegnamento della Giurisprudenza di legittimità, sulla specifica natura del rito processuale, nel campo della protezione internazionale, laddove v’è una costante mancanza di contradditorio tra le parti in causa, atteso che è riscontrabile la sistematica assenza in giudizio dell’organo ministeriale, tale da connotare il procedimento in maniera del tutto differente dal rito civile di cognizione ordinario.
Nello specifico, il competente giudice, non dovendo in quest’ambito operare “un analitico e perspicuo bilanciamento tra posizioni e tesi contrapposte intra pares” (Ordinanza n. 8819/2020), è chiamato a partecipare direttamente all’indagine sulla sussistenza o meno del diritto al riconoscimento di una delle tre forme d’asilo, differenti l’una dall’altra e graduate fra loro, mediante istruttoria processuale, consistente, di frequente, in un vaglio del racconto personale del richiedente, di tipo generale e orientato alla ricerca della verità sul rischio e sul pericolo, lamentato da quest’ultimo nel caso di rientro forzato nel proprio Paese d’origine.
Con riferimento, invece, alla seconda censura che la Suprema Corte ha rivolto ai giudici di merito, era emerso che questi ultimi avevano erroneamente tralasciato di verificare che lo Stato nigeriano considera l’omosessualità penalmente rilevante, riservando a tale fenomeno un trattamento sanzionatorio particolarmente aspro, derivante da una collocazione sistemica dello stesso nel novero dei reati maggiormente gravi.
A tal proposito, si invocava quanto in precedenza statuito da altra Sezione della Suprema Corte (Cass., Sez. VI, Ord. n. 2875 del 06.02.2018), che, in una fattispecie concernente un richiedente protezione internazionale, di nazionalità gambiana, così puntualizzava: “La circostanza che l’omosessualità sia considerata come reato dall’ordinamento giuridico del Paese di provenienza costituisce una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà e li pone in una situazione oggettiva di pericolo, tale da giustificare la concessione della protezione internazionale [Cass., Sez. VI – 1, Sent. n. 4522 del 05.03.2015]”.
Inoltre, con l’ordinanza in commento si ribadiva, in piena linea con il dictum datato 2018, che la valutazione dei presupposti legali per l’accertamento dello status collegato alla protezione internazionale non presuppone un accertamento effettivo del fatto allegato (nella fattispecie in esame: l’orientamento omosessuale del ricorrente), bensì richiede un’indagine sull’effettività o meno delle accuse, mosse in patria a quest’ultimo, tali da rendere attuale e concreto il rischio di persecuzione o di danno grave nell’ordinamento giuridico straniero di provenienza del ricorrente medesimo.
Per un’analisi dell’istituto dell’asilo politico in Italia si veda su questo sito http://studiolegalemeiffret.it/domanda-di-asilo-politico/
Avv. Federico Colangeli
Per ulteriori informazioni sul tema rivolgersi all’Avv. Francesco Meiffret (info@studiolegalemeiffret.it tel 339-8177244) e all’Avv. Federico Colangeli (cell. 0039.3334966282 – recapiti mail: federicocolangeli@yahoo.it – avv.federicocolangeli@libero.it ).