Corte Costituzionale sent. 4 marzo 2022 n. 54: illegittimo condizionare l’assegno di maternità ed il bonus bebè al requisito del permesso di soggiorno di lungo periodo
- 5 Aprile 2022
- Avv. Francesco Meiffret
- Legal Blog
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Corte Costituzionale sent. 4 marzo 2022 n. 54: illegittimo condizionare l’assegno di maternità ed il bonus bebè al requisito del permesso di soggiorno di lungo periodo
In senso conforme: CGUE 2020 C350
Massima
E’ incostituzionale l’art 1 comma 125 della legge 190/2014 nella parte in cui esclude dal novero dei soggetti beneficiari del bonus bebè e dell’assegno di maternità gli stranieri extracomunitari non titolari del permesso per soggiornanti Ue di lungo periodo. Tale condizione imposta dal Legislatore crea per i soli cittadini di Paesi terzi un sistema irragionevolmente più gravoso, che travalica la pur legittima finalità di accordare i benefici dello stato sociale a coloro che vantino un soggiorno regolare e non episodico sul territorio della nazione
Nozione in sintesi:
L’Assegno di maternità è una prestazione economica di tipo assistenziale riconosciuta in favore delle madri disoccupate e che non beneficiano dei trattamenti economici e previdenziali riconosciuti per i cinque mesi di astensione obbligatoria dal lavoro. Tale forma di aiuto economico era stato introdotto con il decreto legislativo n° 151/2001 per ogni figlio nato dal 1 gennaio 2001 o per un minore in affidamento preadottivo o in adozione alle donne residenti in Italia che siano cittadine di tale Stato membro o di altro Stato UE o che siano titolari di un permesso di soggiorno di lungo periodo.
Il suddetto assegno spetta alle cittadine italiane o comunitarie residenti in Italia al momento del parto o ingresso in famiglia del minore adottato o affidato e alle cittadine non comunitarie residenti in Italia al momento del parto o ingresso in famiglia del minore adottato o affidato in possesso di carta di soggiorno o permesso di soggiorno UE per lungo periodo.
Invece l’assegno di natalità, altresì definito bonus bebè, introdotto dalla legge 190/2014 è un assegno mensile destinato alle famiglie per ogni figlio nato, adottato o in affido preadottivo. Quest’ultimo sussidio veniva erogato fino al compimento del primo anno di età o del primo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito di adozione o affidamento preadottivo.
In data 30 dicembre 2021, con il dlgs 46/2021, il Legislatore ha istituito l’assegno unico universale per i figli a carico che assorbe sia l’assegno di maternità sia il bonus bebè.
Questione: possono i cittadini extra UE chiedere il bonus bebè o l’assegno di maternità e a quali condizioni?
La suddetta problematica è emersa nel momento in cui l’INPS ha iniziato a respingere la richiesta di concedere l’assegno di natalità e quello di maternità dei comuni a cittadini dei Paesi extra Ue che soggiornano legalmente in Italia in quanto titolari di un permesso unico di lavoro ottenuto in forza della normativa italiana a seguito della direttiva 2011/98. L’INPS motivava il diniego sul presupposto che i richiedenti non erano titolari dello status di soggiornanti nell’Ue di lungo periodo.
I cittadini di Paesi terzi che si sono visti negare i suddetti aiuti economici dall’INPS impugnavano giudizialmente tali decisioni.
La Corte di Cassazione Sez. Lavoro, con distinte ordinanze, la n°175,178,180,181,182,188 e 190 del 2019, ha sollevato questione di legittimità costituzionale in merito all’art. 1 comma 125 della legge 190 del 2015 nella parte in cui stabilisce che l’accesso a tali forme di sussidi a sostegno della famiglia e delle nascite sia per i soggetti appartenenti a paesi extra Ue condizionato al possesso del permesso di lungo periodo. Secondo la suprema Corte, nella qualità di Giudice remittente, il requisito del permesso di lungo periodo comporta la violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), della tutela della maternità (art. 31 Cost) e dell’art. 117 Cost. comma 1 in relazione agli artt. 20,21,24,33 e 34 Carta Cedu. Tali articoli sanciscono il diritto di uguaglianza, il divieto di discriminazione, il diritto dei bambini alla protezione e alle cure necessarie per il loro sviluppo, la protezione della famiglia sul piano economico e sociale ed il diritto di accesso alle prestazioni di assistenza sociale. Ad esempio, nell’ordinanza di remissione n°177, la Corte di Cassazione ha evidenziato che l’assegno di maternità abbia la finalità di garantire un sostegno a donne che non possono beneficiare del periodo di maternità derivante dai versamenti contributivi pregressi poiché non hanno lavorato e non possono lavorare in ragione dei divieti concernenti i mesi successivi al parto. Tale prestazione aiuterebbe sia la madre che il minore. Secondo la Suprema Corte tali forme di sussidio mirano al soddisfacimento dei bisogni essenziali del nucleo familiare, motivo per cui sulla base delle norme della CEDU e costituzionali richiamate, devono essere sganciati dal requisito del permesso di lungo periodo.
Nei giudizi reg.ord 177 e 179 si costituivano sia l’INPS che il Presidente del Consiglio dei Ministri chiedendo alla Corte Costituzionale di dichiarare inammissibili le questioni di legittimità sollevate.
La difesa dell’Avvocatura dello Stato contesteva i profili d’illegittimità rassegnati sostenendo che le norme rispondessero all’esigenza di incrementare il tasso di natalità e non sarebbero finalizzate a tutelare i i bisogni primari della persona. Riteneva corretto e ragionevole ancorare la concessione di tali sussidi all’esistenza di un vincolo tendenzialmente stabile o quantomeno duraturo con l’Italia. Sosteneva, inoltre, che il diritto dell’Ue, in merito alla tutela della maternità, rimandava alla competenza degli Stati membri .Deduceva, in ultimo, l’inapplicabilità delle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali.
La Corte Costituzionale, per risolvere la suddetta questione, nel 2020 si è rivolta alla Corte di Giustizia Europea chiedendo di precisare la portata del diritto di accesso alle prestazioni sociali riconosciuto dall’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e del diritto alla parità di trattamento nel settore della sicurezza sociale concesso dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 che garantisce l’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano nel territorio dello Stato membro per realizzare una politica di integrazione e ridurre la disparità di trattamento tra i cittadini Ue ed extra Ue.
Con la sentenza del 2 settembre 2021 (causa C-350/20) pronunciata dalla Grande Sezione, la Corte di Giustizia Ue ha riconosciuto il diritto dei cittadini di paesi terzi, titolari di un permesso unico, di beneficiare dell’assegno di natalità e dell’assegno di maternità quali previsti dalla normativa italiana. La Corte precisa in primis come sia necessario controllare se l’ assegno di natalità e l’assegno di maternità siano prestazioni rientranti nei settori della sicurezza sociale elencati all’articolo 3, paragrafo 1 del regolamento n. 883/2004 (a cui l’articolo 12 della direttiva UE rinvia). In merito all’assegno di natalità, la Corte Ue ha rilevato che il suddetto sussidio viene concesso automaticamente ai nuclei familiari che possiedono determinati requisiti oggettivi definiti ex lege, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali del richiedente. Si tratta di una prestazione in denaro volta ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento di un figlio appena nato o adottato. Sulla base di tali deduzioni la corte di Giustizia conclude affermando che l’assegno di natalità sia una prestazione familiare prevista dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004.
Per quanto riguarda invece l’assegno di maternità, la Corte Ue ha rilevato che esso è erogato sulla base dei requisiti come l’assenza di un’indennità di maternità connessa a un rapporto di lavoro o allo svolgimento di una libera professione, delle risorse del nucleo di cui fa parte la madre sulla base di un criterio oggettivo e legalmente definito e sulla base dell’indicatore della situazione economica, senza che l’autorità competente possa tener conto di altre circostanze personali. Tale assegno fa parte dell’ambito del settore della sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 883/2004.
La Corte di Giustzia ha, quindi, concluso che l’assegno di natalità e l’assegno di maternità rientrano nei settori della sicurezza sociale per i quali i cittadini di paesi terzi beneficiano del diritto alla parità di trattamento previsto dalla direttiva 2011/98. La Corte Ue ha precisato che l’Unione Europea riconosce e rispetta il diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che garantiscano protezione nei casi come la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, la perdita del lavoro secondo le modalità previste dal diritto dell’Ue e le legislazioni degli Stati membri.
Sulla base di quanto dichiarato dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza testè richiamata, la Corte Costituzionale, con la sentenza n°54 del 4 marzo 2022 ha, quindi, dichiarato incostituzionale la scelta del Legislatore nazionale di escludere dall’assegno di natalità e di maternità (in oggi assegno unico) gli stranieri che non sono in possesso di un permesso di soggiorno Ue di lungo periodo. Il suddetto presupposto costituirebbe una condizione che escluderebbe cittadini extra Ue che si trovano in una situazione di maggior bisogno.
Tale situazione potrebbe riproporsi anche con l’assegno unico che ha stabilito le seguenti condizioni per l’ottenimento di tale sussidio:
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1) a) essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione Europea;
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b) oppure essere un familiare di un cittadino italiano o di altro stato membro,
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C) oppure essere titolare del diritto di soggiorno,
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d) oppure usufruire del diritto di soggiorno permanente,
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e) oppure essere titolare di un permesso di soggiorno di lungo periodo
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f) oppure possedere un permesso unico di lavoro autorizzato a svolgere un’attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi
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oppure essere titolare di un permesso di soggiorno per motivi di ricerca autorizzato a soggiornare in Italia per un periodo superiore a 6 mesi;
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2) effettuare il pagamento dell’imposta sul reddito in Italia;
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3) essere residente e aver eletto il domicilio con i figli a carico in Italia per l’ intera durata del periodo di fruizione del beneficio;
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4) esser stato residente in Italia per almeno 2 anni, anche non continuativi, ovvero essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno semestrale.
Per ulteriori informazioni sul tema rivolgersi all’Avv. Giuliana Martelli (0184/503474 cell 3393915231, mail info@studiolegalemeiffret.it giuliana_martelli@libero.it) all’Avv. Francesco Meiffret (0184/532708 3398177244 mail info@studiolegalemeiffret.it, studiolegalemeiffret@gmail.com)