
Illegittimo il licenziamento disciplinare di una maschera per aver urlato “Palestina libera” durante uno spettacolo
- 11 Dicembre 2025
- Avv. Francesco Meiffret
- Legal Blog
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Illegittimo il licenziamento disciplinare di una maschera per aver urlato “Palestina libera” durante uno spettacolo
Trib Milano sez lav sent n. 4214 del 26 nov 2025
MASSIMA
Il Giudice non è vincolato dalle ipotesi di giusta causa stabilite dalla contrattazione collettiva poichè il recesso per giusta causa è una nozione di carattere legale disciplinata dall’art. 2119 c.c.. Di conseguenza il Giudice può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento e/o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile se ritenute in grado di interrompere il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e prestatore. Detta valutazione di fatto non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata. Dall’altra parte il giudice, in considerazione delle cause concrete, può escludere che il comportamento tenuto dal lavoratore giustifichi un licenziamento per giusta causa nonostante la contrattazione collettiva preveda il contrario.
DESCRIZIONE DEL CASO
Una maschera del teatro della Scala, in data 5 maggio 2025, poco prima dell’inizio di uno spettacolo, abbandonava la propria postazione. Si recava, quindi, vicino al palco centrale ove era seduta la Presidente del Consiglio, l’On.Le Giorgia Meloni, e, urlando “Palestina libera”, cercava di esporre un manifesto.
Veniva bloccata prima di poter mostrare il manifesto dal personale di sicurezza presente in sala.
A seguito della suddetta condotta, in data 8 maggio 2025, la Fondazione Scala apriva un procedimento disciplinare nei suoi confronti sospendendola in via cautelare.
Successivamente all’audizione della lavoratrice la Fondazione Scala comunicava il licenziamento per giusta causa.
Il licenziamento veniva impugnato dalla ricorrente.
La lavoratrice, assunta con contratto intermittente sino al 30.09.2025, contestava in via principale l’assenza di rilevanza disciplinare della condotta. In via subordinata chiedeva che venisse accertata l’illegittimità del licenziamento in quanto sanzione sproporzionata rispetto alla condotta in essere.
Sulla base di tali presupposti chiedeva che il rapporto venisse ricostituito fino alla sua originaria scadenza (30.09.2025) con condanna a carico della Fondazione del pagamento delle prestazioni a chiamata di Maggio (pari a € 607,20) e di sedici prestazioni per le mensilità successive (quindi € 809,60 per mese sulla base della media delle chiamate mensili sino al licenziamento).
La Fondazione insisteva per la legittimità del licenziamento. La condotta posta in essere aveva comportato grave allarme in sala tra gli spettatori poiché inizialmente si era temuto potesse trattarsi di una manifestazione violenta.
Sotto il profilo giuridico il licenziamento era giustificato da due articoli del contratto collettivo della Fondazione Scala: l’art. 254 che prevede il divieto per le maschere di allontanarsi dalla postazione senza preventiva autorizzazione al fine di prestare assistenza al pubblico e l’art. 37 che stabilisce che il licenziamento per giusta causa sussista nell’ipotesi in cui il lavoratore si renda responsabile di così gravi mancanze colpose o dolose nell’esecuzione della prestazione da non poter consentire neanche provvisoriamente la prosecuzione del rapporto.
Le ragioni di fatto, ovvero la particolare importanza dello spettacolo al quale presenziavano i vertici dell’esecutivo ed il timore ingenerato tra gli spettatori che potesse trattarsi di una manifestazione violenta, giustificavano ampiamente il recesso.
LA DECISIONE
….SULLA LEGITTIMITA’ O MENO DEL RECESSO
Il Giudice accoglie il ricorso ritenendo la sanzione del licenziamento sproporzionato rispetto alla gravità della condotta tenuta. Nelle motivazioni rileva come sia granitico l’orientamento della Suprema Corte secondo il quale non sia vincolante l’eventuale tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del Giudice (cfr ex plurimis Cass. Civ. sez. Lav. sent. 14 giugno 2022.n. 19181; Cass. civ. sez. lav. ord 24 marzo 2025, n. 7828).
Spetta, quindi, sempre al Giudice la possibilità di valutare la gravità della condotta, motivo per cui anche se tipizzata dalla contrattazione collettiva come ipotesi giustificatrice del licenziamento, il Giudice, motivando, può discostarsene.
Sulla base di quanto sin qui esposto evidenzia come sia stato appurato come la condotta fosse inoffensiva. La ricorrente voleva manifestare la propria vicinanza al popolo palestinese e sensibilizzare l’opinione pubblica e l’esecutivo su tale questione. L’intento della ricorrente era di esporre una bandiera (e non un manifesto come originariamente pensato) della Palestina nelle vicinanze del palco occupato dalla Presidente del Consiglio.
Quanto compiuto dalla maschera, secondo il Giudice, ha avuto certamente una rilevanza disciplinare poiché senza autorizzazione ha abbondano la propria postazione lavorativa, ma non è stato connotato da una tale gravità da giustificare il recesso. L’episodio, infatti, è durato pochi minuti e non ha impedito che la serata si svolgesse regolarmente. Sempre dalla ricostruzione dei fatti, sostanzialmente confermata da entrambe le parti del giudizio, non sono emersi elementi dai quali si potesse presupporre un intento violento della lavoratrice.
Ne consegue che il Giudice non deve limitarsi ad un’indagine finalizzata a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile alle disposizioni della contrattazione collettiva che consentono l’irrogazione del licenziamento.
Deve, quindi, valutare in concreto se il comportamento tenuto, globalmente inteso, possa aver leso in maniera irreparabile il rapporto di fiducia tra il datore ed il lavoratore come stabilito dall’art 2119 c.c.. In relazione a tali presupposti l’eventuale previsione della contrattazione collettiva non è vincolante per il Giudice.
Sulla questione legittimità del licenziamento il Giudice, quindi, conclude riconoscendone il difetto di proporzionalità poiché sarebbe stata sufficiente una sanzione di tipo conservativo.
…..E SULLE TUTELE DA RICONOSCERSI
Il Giudice non accoglie la richiesta di reintegrazione. Preliminarmente evidenzia come tale domanda sia inammissibile in quanto il rapporto di lavoro stipulato tra le parte era a tempo determinato ed a chiamata.
La tutela reintegratoria è esplicitamente prevista per determinate ipotesi di licenziamento in presenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Il Legislatore non ha previsto una tutela di tipo reintegratoria per recessi illegittimi nei contratti di lavoro cd atipici.
In altri termini il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo dovuto al lavoratore assunto con una forma diversa da quella subordinata a tempo indeterminato deve essere commisurato all’entità dei compensi retributivi che il lavoratore avrebbe maturato dalla data del recesso fino a quella prevista come scadenza del contratto. In pratica, non trovando applicazione la disciplina dei licenziamenti illegittimi di cui alla legge 604/1966 o art. 18 l 300/1970 o Dlgs 23/2015, viene esclusivamente riconosciuto il risarcimento da lucro cessante ex art. 1223 c.c. (cfr. ex plurimis Cass Civ sez lav sent 26 febbraio 2004 n. 12092).
Ritiene corretta la richiesta della ricorrente di un risarcimento pari a sedici chiamate per ogni mese sino al termine del rapporto originariamente pattuito ex art 432 cpc ed a titolo di lucro cessante.
Infatti aveva fornito documentazione attestante il fatto che la media delle chiamate mensili sino alla data del recesso fosse di sedici.
Per ulteriori informazioni rivolgersi all’Avv. Francesco Meiffret (info@studiolegalemeiffret.it, studiolegalemeiffret@gmail.com, cell 3398177244, tel 0184532708)


