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Trib. Milano, Sez. Lav., sent. 29 ottobre 2018, n. 2787: Ikea ed il presunto e non provato licenziamento discriminatorio di una madre lavoratrice

 

Trib. Milano, Sez. Lav., sent. 29 ottobre 2018, n. 2787

MASSIMA

Il lavoratore che esercita lazione a tutela dalla discriminazione può limitarsi a fornire elementi di fatto – desunti anche da dati di carattere statistico (relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti) – idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti o comportamenti discriminatori, spettando in tal caso al convenuto l’onere della prova sulla insussistenza della discriminazione.

Il CASO

La sentenza si occupa del caso di un presunto licenziamento discriminatorio di una madre di due figli, di cui uno disabile, da parte del noto gruppo Ikea.

La lavoratrice si opponeva con ricorso ex art.1 c. 52 della l n. 92/2012 all’ordinanza del Tribunale di Milano con la quale era stata confermata la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato da Ikea.

La ricorrente, nella fase di opposizione, riproponeva le censure già rassegnate durante la prima fase del c.d. rito Fornero. In particolar modo eccepiva la discriminatorietà del licenziamento poiché il datore di lavoro aveva predisposto unilateralmente nuovi turni di lavoro che non si conciliavano con le sue esigenze familiari in quanto madre separata di due figli, uno dei quali affetto da disabilità.

In secondo luogo lamentava l’assenza della volontarietà nel mancato rispetto dei nuovi orari di lavoro poiché questi non erano ancora stati ufficializzati dalla società ed erano oggetto di trattative con le varie associazioni sindacali tra le quali quella alla quale era iscritta e che l’aveva rassicurata sulla possibilità di proseguire a fornire la propria prestazione lavorativa in base alla precedente turnazione.

Censurava, inoltre, la possibilità di poter intimare un licenziamento disciplinare poiché in base al CCNL applicato (si precisa che la ricorrente rientra nel campo di applicazione dell’art. 18 l. 300/1970) la condotta sarebbe stata punibile con la multa, mentre, sempre secondo il contratto collettivo, il licenziamento disciplinare avrebbe richiesto come presupposto “una insubordinazione verso i superiori accompagnata da un comportamento oltraggioso”.

La società resisteva evidenziando come nessuna condotta discriminatoria fosse stata perpetrata ai danni della ricorrente la quale, nonostante le problematiche familiari, aveva ottenuto negli anni un regolare avanzamento di carriera.

Rilevava che dalla documentazione prodotta risultava evidente che la ricorrente fosse a conoscenza della modificazione dei turni di lavoro e che, quindi, non li avesse volontariamente rispettati.

Oltre a tali deduzioni rimarcava la gravità dell’altro fatto posto alla base del licenziamento disciplinare intimato. La ricorrente aveva rivolto, nel reparto mensa, dinnanzi a tutti i dipendenti, una frase ingiuriosa (“mi avete rotto i coglioni”) alla propria superiore sbattendo, nel contempo, un vassoio.

La sentenza conferma quanto deciso nella precedente ordinanza ritenendo legittimo il licenziamento intimato per giusta causa.

Innanzitutto evidenzia come nemmeno nella fase di opposizione siano stati forniti elementi dai quali sia possibile desumere che il datore di lavoro abbia posto condotte discriminatorie nei confronti della ricorrente.

Invero l’istruttoria nella c.d. fase a cognizione piena ha confermato come il datore di lavoro avesse cercato di soddisfare buona parte delle richieste della lavoratrice e dettate da esigenze familiari.

Dalla lettura delle motivazioni della sentenza si evince che la ricorrente non ha fornito elementi precisi e concordanti dai quali sia possibile presupporre un comportamento discriminatorio nei suoi confronti facendo ricadere, quindi, sul datore di lavoro l’onere di dimostrare l’insussistenza della discriminatorietà (sul punto si veda Cass. Civ., sez. lav., sent. 5 aprile 2016, n. 6575).

Per quanto riguarda la modifica dei turni di lavoro la ricorrente, in sede di interrogatorio aveva confermato, di essere a conoscenza della modifica dei turni di lavoro. La scelta, quindi, di non rispettare i turni stabiliti dall’azienda era stata un’insubordinazione volontaria. A ciò aggiungasi, che tutti i testi escussi durante l’istruttoria avevano confermato che la ricorrente, in sala mensa dinnanzi ai colleghi, si fosse rivolta in maniera irrispettosa ad un proprio superiore.

Per questi motivi le condotte della ricorrente integrano l’ipotesi di licenziamento disciplinare prevista dalla contrattazione collettiva consistente in “insubordinazione verso i superiori accompagnata da un comportamento oltraggioso” .

In conclusione, a sommesso parere dello scrivente, la scelta del giudice è corretta poiché la lavoratrice non ha fornito alcun elemento dal quale si possa presupporre una discriminazione nei suoi confronti (in relazione al licenziamento discriminatorio si veda http://studiolegalemeiffret.it/licenziamento-discriminatorio-e-licenziamento-ritorsivo/) senza contare che i gravi fatti dal punto di vista disciplinare risultano essere stati confermati nella fase istruttoria.

 

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