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TRIBUNALE DI BARI: QUANDO UN L...

TRIBUNALE DI BARI: QUANDO UN LAVORATORE HA DIRITTO AD UNA RETRIBUZIONE MAGGIORE RISPETTO A QUELLA STABILITA DALLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA?

TRIBUNALE DI BARI: QUANDO UN LAVORATORE HA DIRITTO AD UNA RETRIBUZIONE MAGGIORE RISPETTO A QUELLA STABILITA DALLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA?

Sent. Trib. Bari sez. lav. n. 2720 del 13.10.2023

BREVE RIASSUNTO

La sentenza del Tribunale di Bari n. 2720 del 13 ottobre 2023, qui brevemente annotata, richiamandosi ai principi stabiliti dalle recentissime sentenze della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. lav., 2/10/2023, n. 27711; Cass. civ., Sez. lav., 2/10/2023, n. 27713; Cass. civ., Sez. lav., 2/10/2023, n. 27769; Cass. civ., Sez. lav., 10/10/2023, n. 28320; Cass. civ., Sez. lav., 10/10/2023, n. 28321; Cass. civ., Sez. lav., 10/10/2023, n. 28323; Trib. Bari, 13 ottobre 2023, n. 2720), afferma che la retribuzione oraria di € 5,37 lordi stabilita dal CCNL Vigilanza privata- servizi per i lavoratori inquadrati nel IV livello, non rispetti i requisiti di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione stabiliti dall’Art. 36 Cost.

Secondo il Giudice, la retribuzione lorda di € 930,00 lorde per 40 ore settimanali per 13 mensilità non permette di assicurare al lavoratore e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa come, invece, stabilito dal già richiamato art. 36 Cost.

Sulla base di tale presupposto il Giudice disapplica il CCNL Vigilanza Privata e servizi, seppur sottoscritto dai sindacati maggiormente rappresentativi (CGIL, CISL e UIL), e stabilisce come minima retribuzione oraria, quella lorda di € 7,04 stabilita dal CCNL per i dipendenti di proprietari di fabbricati.

Infatti, secondo le citate sentenze della Suprema Corte, ai fini della determinazione di un salario che rispetti i criteri stabiliti dall’art 36 Costituzione, il Giudice può fare riferimento ed applicare il trattamento retributivo determinato da altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe.

DESCRIZIONE DEL CASO

Un lavoratore inquadrato nel IV livello del CCNL Vigilanza Privata ricorre alla sezione lavoro del Tribunale di Bari per far accertare che la retribuzione oraria lorda di € 5,37 sia insufficiente ed inadeguata a garantire a lui e alla propria famiglia, composta da altre tre persone, una vita dignitosa. Per questo motivo domanda di accertare la nullità e/o illegittimità dell’art. 23 del CCNL di vigilanza privata che prevede per i lavoratori inquadrati nel 4 livello una retribuzione oraria lorda pari a € 5,37 in quanto in contrasto con l’art. 36 Cost.

Sempre in base ai principi dell’art. 36 Cost. in tema di retribuzione adeguata e sufficiente ed in applicazione dell’art 2099 c.c. chiede di accertare il diritto di percepire un trattamento salariale non inferiore a quello previsto dal CCNL Commercio Terziario pari a € 1405,87 lordi mensili (€ 8,37 orari). In via subordinata chiede che sia applicata la retribuzione del CCNL per i dipendenti da proprietari di fabbricati con una retribuzione mensile di € 1244,69 lordi, pari a € 7,04 lordi orari. In estremo subordine domanda che venga applicato al proprio rapporto di lavoro il CCNL multiservizi che prevede una retribuzione lorda di € 1183,60 pari ad € 6,84 orari.

Rappresenta che i CCNL proposti come termine di paragone includono mansioni analoghe a quelle da lui svolte e per le quali i medesimi CCNL prevedono una retribuzione superiore rispetto a quella stabilita dal CCNL vigilanza privata.

LA DECISIONE

Il Giudice accoglie il ricorso ritenendo che l’art. 23 del CCNL Vigilanza Privata sia in contrasto con l’art. 36 Cost. perché prevede una retribuzione inadeguata e non in grado di garantire una vita dignitosa al lavoratore e alla propria famiglia.

Come già rilevato da altre pronunce di merito che hanno stabilito l’inadeguatezza della retribuzione oraria determinata dall’art. 23 del CCNL Vigilanza privata (Tribunale di Catania, sez. lav., 21 luglio 2023, Trib. Milano, sez. lav., sent. 21 febbraio 2023; Trib. Torino, sez. lav., sent. sent. 9 agosto 2019, n. 1128; Corte d’Appello Milano, sez. lav., sent. 9 settembre 2022, n. 626, Corte d’Appello Milano, sez. lav., sent. 29 giugno 2022, n. 579), il Giudice afferma che al rapporto di lavoro oggetto di causa debba essere applicata la retribuzione oraria stabilita dal CCNL dei proprietari di fabbricato in quanto descrive mansioni coincidenti a quelle svolte dal ricorrente e prevede lo stesso orario di lavoro settimanale, ovvero 40 ore.

Il Giudice motiva la propria decisione ricordando che, secondo l’Istat, sono in una situazione di povertà assoluta tutti quei soggetti che non possano disporre di € 964,62 mensili per far fronte ai propri bisogni.

La retribuzione lorda del ricorrente era di € 930,00 mensili, quindi quella netta era pari a € 650,00.

Ne deriva che quanto guadagnato dal lavoratore per una prestazione full time fosse di gran lunga al di sotto dell’indice di povertà.

Dalla lettura della sentenza si evince che un’ulteriore argomentazione a sostegno della decisione sia il concetto di offerta congrua di lavoro, stabilita dall’art. 4 del Dl 4/2019 (istitutivo del reddito di cittadinanza). In tale norma l’offerta congrua per un lavoratore con tre familiari a carico, come il ricorrente, viene quantificata in € 838,00 netti mensili. Quindi, anche in base a questo parametro, la retribuzione percepita dal ricorrente è insufficiente.

Il Giudice precisa che la retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva gode di una presunzione relativa di rispetto dei canoni stabiliti dall’art 36 Cost. Ricorda, infatti, come la Suprema Corte abbia stabilito che ”nell’attuazione dell’art. 36 della Cost. il giudice, in via preliminare, deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può motivatamente discostarsi, anche “ex officio”, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’art. 36 Cost., anche se il rinvio alla contrattazione collettiva applicabile al caso concreto sia contemplato in una legge, di cui il giudice è tenuto a dare una interpretazione costituzionalmente orientata. Inoltre, ai fini della determinazione del giusto salario minimo costituzionale il giudice può servirsi a fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe. Infine, nella opera di verifica della retribuzione minima adeguata ex art. 36 Cost. il giudice, nell’ambito dei propri poteri ex art. 2099, comma 2 cod. civ., può fare altresì riferimento, all’occorrenza, ad indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022 (Cass. civ. Sez. lavoro, sent. 02 ottobre 2023, n. 27769).

Spetta, quindi, al Giudice, sulla base dell’art. 2099 comma 2 c.c., valutare se la retribuzione rispetti i principi stabiliti dall’art.36 Cost. In caso di disapplicazione della retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva, il Giudicante nella motivazione deve indicare il parametro ed il criterio seguito per la sua determinazione.

In tale tipo di giudizio il lavoratore deve dimostrare l’orario di lavoro svolto, le mansioni eseguite e la retribuzione percepita. Deve, infine, allegare parametri di confronto dai quali il Giudice possa ricavare che la retribuzione percepita è insufficiente.

CONCLUSIONI

In sintesi il Giudice può sempre valutare anche d’ufficio se la retribuzione rispetti i parametri stabiliti dall’art. 36 Cost. La novità stabilita dalle sopra richiamate sentenze della Cassazione e seguita dalla qui brevemente annotata sentenza del Tribunale di Bari è che il Giudice può disapplicare non solo il contratto collettive, ma anche leggi che determinano la retribuzione, se quest’ultima quantificazione non rispetta i criteri di adeguatezza e proporzionalità dell’art. 36 Cost.

Per ulteriori informazioni sul tema rivolgersi all’Avv. Francesco Meiffret (info@studiolegalemeiffret.it, studiolegalemeiffret@gmail.com, cell 3398177244, tel 0184532708) 

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