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IL PATTO DI PROVA NEL CONTRATTO DI LAVORO: QUALI TUTELE PER IL LAVORATORE?

IL PATTO DI PROVA NEL CONTRATTO DI LAVORO: QUALI TUTELE PER IL LAVORATORE?

1) DEFINIZIONE DEL PATTO DI PROVA

Il patto di prova è una clausola accessoria del contratto di lavoro finalizzato a permettere ad entrambe le parti di avere un periodo di tempo per valutare se è opportuno proseguire nel rapporto di lavoro.

Proprio per questo motivo il patto di prova costituisce una delle ipotesi residuali di recesso senza preavviso e senza motivazione ex art. 2118 c.c.

2) LA FORMA

In base al primo comma dell’art. 2096 c.c. il patto di prova deve essere stipulato in forma scritta. Nel silenzio della legge, la giurisprudenza ha ritenuto la forma scritta ad substantiam actus (Cass. sez. lav., 3 settembre 2017; Cass. sez. lav., 14 aprile 2001, n. 5591).

Il patto di prova deve essere precedente o contestuale all’assunzione in prova (cfr Cassazione civile sez. lav., 11/01/2011, n.458). E’ costante l’orientamento sia di merito che di legittimità che sancisce la nullità del patto di prova sottoscritto in un momento successivo rispetto al contratto di lavoro al quale si riferisce (Cfr. ex plurimis Cass. Civ. sez. lav., sent. 22 ottobre 2010, n. 21758 ; nel erito Trib. Milano, sez. lav. sent. 21 gennaio 2021 )

Esso non può avere una durata superiore di tre mesi per gli impiegati senza funzioni direttive e 6 mesi per quelli che di tali poteri sono muniti.

Se terminato il periodo di prova, nessuno delle parti ha receduto dal contratto, il rapporto di lavoro si consolida e viene sottoposto alle normale disciplina del licenziamento e dimissioni.

Non è necessaria alcuna forma di comunicazione del superamento del periodo di prova. Infatti generalmente il superamento della prova si verifica mediante il comportamento concludente di proseguire il rapporto di lavoro anche dopo il termine finale stabilito per la prova. Tuttavia nel caso di comunicazione formale del superamento della prova al lavoratore, il datore di lavoro non può più esercitare il recesso ad nutum stabilito dal patto di prova (si veda Tribunale di Milano 21 ottobre 2011).

3) IL CONTENUTO DEL PATTO DI PROVA

Oltre alla forma scritta, nel patto di prova deve essere stabilito esplicitamente la durata.

Oltre alla durata il patto di prova deve indicare specificatamente su quali mansioni essa verterà.

Molto spesso tale requisito viene soddisfatto o mediante l’indicazione delle specifiche mansioni sulle quali il lavoratore verrà valutato o mediante un richiamo alla categoria della contrattazione collettiva.

E’ opportuno precisare come sussistano due orientamenti contrapposti in merito alla determinazione per relationem dell’oggetto della prova tramite il richiamo al contratto collettivo applicato al contratto individuale di lavoro.

Un primo orientamento ritiene che l’oggetto della prova sia sufficientemente determinato con il semplice riferimento alla categoria prevista al contratto di lavoro che permette al datore di lavoro di assegnare il lavoratore ad uno dei possibili profili inclusi all’interno di essa (cfr ex plurimis Cass. Civ., Sez. lavoro, 16 gennaio 2015, n. 665; Cass. Civ., Sez. lavoro, Sent., 23 maggio 2014, n. 11582; Cass. Civ., Sez. lavoro, Sent., 20 maggio 2009, n. 11722; nel merito Corte appello sez. lav. di Milano, sentenza 8 febbraio 2022, n. 1588).

Dall’altra parte vi è un orientamento opposto che stabilisce che il patto di prova debba contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto. Detto requisito può essere soddisfatto anche per relationem alle declaratorie del contratto collettivo a condizione che definiscano esplicitamente le mansioni comprese nella qualifica di assunzione (cfr ex plurimis Cass. Civ. Sez. Lav. sentenza 20 maggio 2009, n. 11722; Cass. Civ,. Sez. Lav sent. 20 maggio 2009, n. 11722).

Tale requisito di determinatezza non viene soddisfatto quando il contratto collettivo si limiti a richiamare la categoria lavorativa ed i profili in esso contenuti senza l’indicazione delle mansioni riconducibili a ciascuno di essi (cfr. Cassazione civile sez. lav. sent. 05 luglio 2017, n. 16587).

4) LA POSSIBILITA’ DI MODIFICARE LE MANSIONI OGGETTO DELLA PROVA

Secondo l’orientamento prevalente è possibile modificare le mansioni oggetto della prova solamente se tale ipotesi viene prevista nel contratto (Cfr. Cass. civ. sez. lav sent.19 agosto 2005, n. 17045).

Tuttavia la modifica delle mansioni non può essere un sistema volto a far dichiarare il mancato superamento della prova. Ed infatti la Suprema Corte ha più volte ribadito l’illegittimità del recesso basato sul mancato superamento della prova, quando il lavoratore, durante il periodo di prova, era stato adibito a mansioni completamente diverse rispetto a quelle originariamente indicate nel patto di prova (cfr ex plurimis Cass. Civ. Sez. Lav. sent. 3 dicembre 2018, n. 31159).

5 LA DURATA E PERIODI DI SOSPENSIONE DELLA PROVA

Come già evidenziato il patto di prova deve indicare esplicitamente la durata.

Sussistono pronunce risalenti della suprema Corte che ritengono che il periodo di prova sia sospeso durante la malattia o l’infortunio del lavoratore (Cassazione civile sez. lav., 10 ottobre 2006, n.21698; Cass civ. Sez. Lav sent. 1 dicembre 1992 n. 12814).

Di senso opposto alcune pronunce più recenti che stabiliscono che, nel silenzio del Legislatore e della contrattazione collettiva, il periodo di prova non risulti sospeso per malattia o infortunio del lavoratore (si veda ad es. Cass. Civ. sez. lav., sent. 10 giugno 2013, n.14518). Dall’altra parte la Suprema Corte ha stabilito la sospensione del periodo di prova nel caso d’infortunio o malattia qualora tale ipotesi sia espressamente stabilita dalla contrattazione collettiva (Cass. CIV., sez. Lav. sent. 4 marzo 2015, n. 4347).

6) LA REITERAZIONE DEL PERIODO DI PROVA 

Per quanto concerne la reiterazione del patto di prova tra stessi soggetti in relazione alle medesime mansioni, la giurisprudenza tende ad escludere tale possibilità. La finalità del patto è quella di verificare se il rapporto di lavoro effettivamente soddisfi le parti e per questo motivo viene stabilito un periodo provvisorio. La reiterazione del patto in presenza di tali presupposti, incusa la congruità del periodo per effettuare la prova, è, quindi, inutile e non merita tutela (cfr ex plurimis Cass. Civ. sez. lav sent. 17 luglio 2015, n. 15059).

E’ nullo il patto reiterato anche nell’ipotesi in cui il datore di lavoro sia solo formalmente diverso perché opera con una diversa denominazione sociale oppure sia effettivamente diverso come nella successione di appalti, ma la contrattazione collettiva ne vieti comunque l’utilizzo (Cass. civile sez. lav., sent. 22 aprile 2015, n.8237 ).

In caso di silenzio della contrattazione collettiva la giurisprudenza tende ad ammettere la legittimità del patto di prova in caso di successione di appalti (C. 11.7.2018, n. 18268)

7) I LIMIITI ALLA RECEDIBILITA’ DA PARTE DEL DATORE DURANTE IL PERIODO DI PROVA

La libera recedibilità tuttavia non significa arbitrarietà del recesso a favore del datore di lavoro.

Infatti il datore di lavoro deve durante il periodo di prova:

a) permettere che la prova duri un periodo minimo al fine di verificare le capacità del lavoratore . Se il periodo di prova non è congruo rispetto alla verifica delle capacità del lavoratore il licenziamento intimato per il mancato superamento della prova è illegittimo(cfr. ad es. Cassazione civile sez. lav., 13/09/2006, n.19558; Trib. Milano, sez. lav. sent. 11 giugno 2021).

b) come già accennato assegnare il lavoratore alle mansioni oggetto del patto di prova

c) basare il recesso esclusivamente sulla valutazione delle capacità del lavoratore nello svolgimento delle mansioni oggetto della prova. Il lavoratore potrà far accertare l’illegittimità del provvedimento dimostrando il superamento della prova o che il licenziamento è nullo per motivo illecito perché, ad esempio discriminatorio o ritorsivo.

Per concludere è possibile, quindi, impugnare il licenziamento intimato durante il periodo di prova, ma in questo caso, spetta al lavoratore dimostrarne l’illegittimità, mentre, com’è noto, in base all’art. 5 legge 604/1966 spetta al datore di lavora dimostrare che il recesso è giustificato.

Per ulteriori informazioni sul tema rivolgersi all’Avv. Francesco Meiffret (info@studiolegalemeiffret.it, studiolegalemeiffret@gmail.com, cell 3398177244, tel 0184532708) 

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