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Cassazione: Il coniuge superst...

Cassazione: Il coniuge superstite ha diritto alla pensione di anzianità anche se l’avente diritto non l’aveva richiesta in quanto beneficiario di quella d’invalidità

Cassazione: Il coniuge superstite ha diritto alla pensione di anzianità anche se l’avente diritto non l’aveva richiesta in quanto beneficiario di quella d’invalidità

Corte di Cass. sez. lav. sent.n. 30315 del 25 novembre 2024

ABSTRACT

La sentenza della Suprema Corte sezione lavoro n. 30315 del 25 novembre 2024 afferma il diritto alla reversibilità della pensione di anzianità anche nell’ipotesi in cui il coniuge defunto avesse esclusivamente usufruito di quella d’invalidità.

La Suprema Corte ha, infatti, confermato la sentenza della Corte d’Appello di Milano che, in riforma di quella di I grado, aveva affermato il diritto della ricorrente, rimasta vedova, di percepire da parte di Inarcassa la pensione di anzianità nonostante che il proprio marito, al momento della morte, usufruisse della pensione d’invalidità e non avesse presentato domanda per quella di anzianità.

I FATTI DI CAUSA

Inarcassa ricorre in Cassazione avverso la sentenza della Corte D’appello di Milano che aveva stabilito il diritto della coniuge superstite a percepire la pensione di anzianità maturata dal marito nonostante quest’ultimo avesse esclusivamente beneficiato in vita di quella d’invalidità.

Secondo la Corte d’Appello, in base all’art. 7 della legge n.6 del 3 gennaio 1981, la pensione di anzianità è reversibile a favore del o dei superstiti anche nell’ipotesi in cui il dante causa non avesse presentato la domanda per ottenerla. Ciò che rileva affinché la richiesta possa essere accolta è che il dante causa avesse maturato i requisiti per il trattamento pensionistico richiesto al momento del decesso. La domanda amministrativa per il versamento della pensione è irrilevante affinché dal punto di vista giuridico si possa ritenere che il diritto fosse entrato nel patrimonio giuridico del de cuius.

I MOTIVI DEL RICORSO IN CASSAZIONE

Il ricorso in Cassazione di Inarcassa si sviluppa in due motivi di censura alla sentenza d’appello. Il primo consiste nell’omesso esame di fatti decisivi ai fini della decisione della controversia ed, il secondo, l’errata interpretazione degli artt. 1,3, 5 e 7 della legge n. 6 del 3 gennaio 198 che disciplina i trattamenti pensionistici della cassa degli architetti e degli ingegneri.

Secondo la ricorrente, al momento del decesso del dante causa, il raggiungimento del requisito dell’anzianità contributiva non era stato raggiunto. La maturazione dei 35 anni d’anzianità era avvenuto dopo il decesso dell’assicurato. Più precisamente quando la moglie resistente, in base al piano di rateizzazione approvato dalla stessa ricorrente Inarcassa, aveva provveduto a saldare l’ultima rata del riscatto contributivo degli anni universitari.

Inoltre il titolare del trattamento pensionistico, quando era ancora in vita, aveva chiesto il ricalcolo della pensione d’invalidità e non aveva presentato la domanda per ottenere il versamento della pensione d’anzianità. Tali fatti denotavano in capo al dante causa la scelta per il primo tipo di trattamento pensionistico. Sulla base di quest’ultimo presupposto fattuale, secondo Inarcassa la locuzione presente nell’art .7 della legge 6 del 1981 “che sarebbe spettato” si riferisce al trattamento pensionistico che beneficiava il dante causa senza alcuna possibilità di ulteriore scelta in capo al superstite.

In altri termini la mancata presentazione della domanda amministrativa da parte dell’assicurato di mutare la pensione da invalidità in anzianità preclude tale opzione agli eredi.

LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE

La Suprema Corte respinge le doglianze presentate da Inarcassa confermando la sentenza della Corte d’Appello. Innanzitutto rileva come, contrariamente a quanto riportato da Inarcassa, il riscatto degli anni di laurea dovesse essere considerato ai fini dell’anzianità contributiva già perfezionato al momento del decesso. Non rileva che l’ultima rata pattuita a favore del dante causa fosse stata saldata dopo la morte dell’avente diritto, circostanza temporale peraltro prevista nel piano di rateizzazione.

E’ errata, inoltre, l’interpretazione d’Inarcassa secondo la quale, una volta optato per la pensione d’invalidità, il superstite non possa optare per un trattamento pensionistico migliore purché il dante causa ne avesse maturato i requisiti.

I Giudici della Suprema Corte precisano, infatti, che la reversibilità costituisce un diritto del coniuge superstite (e/o degli altri eredi superstiti) che lo esercita quando ve ne sono le condizioni previste per legge.

L’art. 7 della legge n. 6 del 1981, come correttamente interpretato nella sentenza della Corte d’Appello, permette al superstite non solo di beneficiare del trattamento usufruito dal dante causa, ma anche di optare per un’altra prestazione pensionistica che sarebbe spettata a quest’ultimo.

Infatti come precisato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite nella sentenza n. 8433 del 4 maggio 2004, nel nostro nel nostro ordinamento non esiste un principio generale d’immutabilità del titolo della prestazione pensionistica (né un principio generale di mutabilità della stessa). Il mutamento del titolo della pensione (ad esempio, da invalidità o anzianità a vecchiaia) va verificato caso per caso sulla base della specifica disciplina di settore.

La Suprema Corte negli ultimi capoversi della sentenza precisa come l’art. 5 comma 5 della legge n.6 del 1981 stabilisca la possibilità che “il pensionato per invalidità che abbia proseguito per l’esercizio della professione e maturato il diritto alla pensione di vecchiaia o di anzianità può chiedere la liquidazione di quest’ultima, ai sensi dell’art.2 in sostituzione della pensione d’invalidità”.

Dunque l’ordinamento, in base all’assenza di un principio d’immutabilità del trattamento pensionistico, permette il passaggio da pensione d’invalidtà a vecchiaia o anzianità e detta scelta può essere effettuata anche dai superstiti.

CONCLUSIONI

In conclusione la Suprema Corte effettua una distinzione tra il momento dell’insorgenza del diritto alla prestazione pensionistica e quello in cui si verifica il diritto alla sua corresponsione.

Il diritto alla pensione (anzianità o vecchiaia) matura in capo all’assicurato per la sola sussistenza delle condizioni di legge. La domanda presentata all’ente dall’assicurato ha la mera funzione di atto d’avvio della procedura amministrativa, che l’ente debitore è tenuto ad espletare. Essa si conclude in un accertamento avente natura non costitutiva, ma dichiarativa del diritto.

Ne consegue che, nell’ipotesi in cui l’assicurato deceda senza aver presentato la domanda, tale mancato adempimento non significa rinuncia al diritto del trattamento pensionistico maturato.

Se effettivamente le condizioni per ottenere il trattamento pensionistico sussistevano al momento del decesso, detto diritto passa agli eredi i quali sono legittimati a farlo valere, ciascuno nei limiti della quota a loro spettante, avanzando la relativa domanda all’ente assicurativo del dante causa.

Per ulteriori approfondimenti sul patto di prova si veda il precedente articolo: https://studiolegalemeiffret.it/il-patto-di-prova-nel-contratto-di-lavoro/

Per ulteriori informazioni sul tema rivolgersi all’Avv. Francesco Meiffret (info@studiolegalemeiffret.it, studiolegalemeiffret@gmail.com, cell 3398177244, tel 0184532708) 

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