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La Cassazione conferma la tute...

La Cassazione conferma la tutela risarcitoria nel caso di reiterazione di contratti a termine nelle società a capitale pubblico

 

La Cassazione conferma la tutela risarcitoria nel caso di reiterazione di contratti a termine nelle società a capitale pubblico

Cass 15 dicembre 2020 28621

MASSIMA

La reiterazione illegittima di contratti a tempo determinato da parte di società a capitale pubblico che gestiscono servizi pubblici locali non può comportare la conversione del contratto in tempo indeterminato in quanto precluso dall’art. 18 del d.l. 112/2008 che si richiama all’art. 36 comma 3 del Dlgs 165/2001

Il CASO

Una lavoratrice presentava ricorso presso il Tribunale di Tivoli contro la società ex datrice di lavoro, una società a capitale pubblico che si occupa della gestione di un servizio pubblico, per far accertare l’illegittimità del contratto di lavoro determinato reiterato ed in via principale ottenere la conversione in contratto di lavoro a tempo indeterminato ed in via subordinata il risarcimento del danno.

Il Tribunale accoglieva solamente la domanda subordinata condannando la ex datrice di lavoro al risarcimento minimo di 2,5 mensilità alla luce della ridotta durata del rapporto di lavoro, due mesi, in base ai parametri stabiliti dall’art. 32 L.n. 183/2010.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso la ricorrente.

La Corte d’Appello di Roma accoglieva il ricorso della lavoratrice accertando l’esistenza sin dall’origine di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Avverso tale sentenza ricorreva in Cassazione la società ex datrice di lavoro lamenta la violazione dell’art. 36 del Dlgs 165/2001 applicabile anche alle società a capitale pubblico che gestiscono servizi pubblici.

La questione di diritto sottoposto alla Suprema Corte consiste nello stabilire quali sono le tutele nel caso di reiterazione di contratti a termine nel caso di società a capitale pubblico che gestiscono servizi pubblici

LA SOLUZIONE NELL’ORDINANZA IN COMMENTO

La Suprema Corte con l’ordinanza in commento conferma il principio più volte affermato in base al quale nel caso di reiterazione illegittima di contratti a termine con una società a capitale pubblico la sola tutela possibile è quella risarcitoria.

Secondo la Suprema Corte il fatto che il capitale sociale delle cd partecipate sia integralmente o parzialmente pubblico non modifica la natura di soggetto privato. Per questo motivo si applicano le disposizioni che disciplinano l’istituto privatistico adoperato salvo alcune specifiche disposizioni di segno contrario.

Tra queste eccezioni rientra la mancata conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato più volte illegittimamente reiterato. In questo caso come stabilito in precedenza dalle pronunce 3621/2018 e 3662/2019 l’art. 18 del D.L. 112/2008 prevede che per le cd società “in House” si applichi l’art 36 del Dlgs 165/2001 con impossibilità di costituzione di un rapporto a tempo indeterminato

OSSERVAZIONI

La differenza fondamentale tra apparato sanzionatorio nel caso di nullità di contratto a termine nel pubblico impiego rispetto al privato è l’impossibilità della conversione del contratto in tempo indeterminato. Nel regime privatistico la tendenza è di sanzionare l’irregolarità presente in un contratto di lavoro atipico (ad esempio determinato o occasionale) con la conversione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

La conversione, invece, è esplicitamente esclusa nel pubblico impiego in base all’art 35 comma 5 del Dlgs 165/2001. Tale divieto è esteso in base al citato art. 18 del D.L. 112/2008 anche nel caso delle c.d. società partecipate.

La differenza a livello sanzionatorio nel caso di contratto a tempo determinato nullo tra pubblico e privato è stata più volte oggetto di analisi sia da parte della giurisprudenza domestica che quella comunitaria.

Sia la Corte Costituzionale che la Corte di Giustizia hanno ritenuto giustificabile il differente trattamento sanzionatorio purché il ristoro ottenuto dal lavoratore del pubblico possa ritenersi nella sua totalità, e seppur tramite la tecnica della tutela per equivalente, non inferiore rispetto a quello di un lavoratore impiegato nel privato.

La Corte Costituzionale ha ritenuto legittima l’impossibilità di convertire il rapporto in tempo determinato in base ai principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione. Questi principi si esplicano nell’art. 97 Cost che impone la regola del concorso per selezionare il personale della pubblica amministrazione. Ne deriva che una stabilizzazione del rapporto può avvenire solo tramite concorso e non a seguito di una nullità di un’altra diversa forma contrattuale di lavoro (Corte Cost,sent. 27 marzo 2003, n. 89).

La Corte costituzionale ritiene, quindi, ragionevole un diverso apparato sanzionatorio poichè il sistema del pubblico concorso per il reclutamento del personale, manifestazione del principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, prevale sul cd principio di uguaglianza e comunque tale disparità a livello sanzionatorio è giustificata proprio perché finalizzata ad applicare per l’appunto l’art. 97 Cost. La conversione del contratto atipico dichiarato illegittimo e stipulato con la pubblica amministrazione o con una partecipata costituirebbe, quindi, un vulnus all’art. 97 Cost.

Il divieto di conversione del contratto a tempo determinato nella pubblica amministrazione non è stato ritenuto in contrasto con i principi comunitari. Esso è stato sottoposto al vaglio della Corte di Giustizia in relazione alla clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE che si prefigge di prevenire l’abuso di reiterazione dei contratti a termine.

La Corte di Giustizia, più volte chiamata a pronunciarsi sul divieto di conversione del contratto a termine nel pubblico impiego nel caso di reiterati e illegittimi contratti a termine, ha precisato che la conversione a tempo indeterminato è da considerarsi solo una delle forme di tutela per prevenire tale abuso. Tale obiettivo è perseguibile anche con tutele di tipo risarcitorio purché il ristoro sia effettivo e la sanzione abbia carattere dissuasivo (Corte di Giustizia Sent. 7 marzo 2018 Causa C-494-16)

Sul punto l’art. 36 comma 5 del Dgs 165/2001 prevede che il lavoratore interessato dalla nullità del contratto di lavoro con la pubblica amministrazione abbia diritto al risarcimento del danno.

La norma tuttavia nulla precisa sulla determinazione del danno lasciando l’onere alla giurisprudenza di individuare parametri economici all’interno dei quali quantificare il danno subito dal lavoratore.

Una prima soluzione fu quella proposta dal Tribunale di Genova con la sentenza del 14 maggio 2007 basato sul concetto di “danno da perdita del posto”.

I parametri risarcitori da applicarsi erano quelli stabiliti dall’art. 18 commi 4 e 5 l. 300/1970 poiché definiscono una cornice all’interno del quale il Giudice stabilisce il risarcimento per equivalente nel caso in cui il licenziamento del lavoratore a tempo indeterminato sia dichiarato illegittimo. Tale soluzione permetteva, inoltre, di rispettare quanto stabilito dalla Corte di Giustizia, con l’ordinanza del 12 dicembre 2013, C-50/2013 (Papalia contro Comune di Aosta) per quanto riguarda le sanzioni nel caso di abusi di successione di contratti a termine da parte della pubblica amministrazione. I Giudici comunitari, nell’arresto appena citato avevano precisato che le sanzioni previste nel settore pubblico non devono essere meno favorevoli rispetto a quelle stabilite nel rapporto di lavoro privatistico oltre che debbono avere carattere sanzionatorio.

Se la giurisprudenza di merito era allineata sull’impostazione del Tribunale di Genova, la giurisprudenza di legittimità era, invece, divisa sui criteri di liquidazione. Oltre all’applicazione dell’art. 18 commi 4 e 5 alcune sentenze avevano applicato nella determinazione del danno l’art. 32 commi 5,6 della l. 183/2010 (Cass. Civ. sez. lav., sent 21 agosto 2013 n. 19371). Altre pronunce avevano, invece, applicato i criteri di determinazione dell’art. 8 l. 604/1966 (Cass civ sez. lav. Sent 30 dicembre 2014, n. 27481

Gli evidenti contrasti in seno alle sezioni semplici sono stati risolti nel 2016 dalle Sezioni Unite con la sentenza del 15 marzo 2016, n. 5072.

Le Sezioni Unite sono partite smentendo la soluzione genovese basata sulla perdita del posto di lavoro a tempo indeterminato poiché in base all’art. 97 Cost. tale possibilità non avrebbe mai potuto concretizzarsi.

Il danno non deriva da un mancato ottenimento di un posto di lavoro a tempo indeterminato bensì dalla perdita di chance cagionata dal fatto che se la pubblica amministrazione avesse operato correttamente emanando un bando per un posto di lavoro a tempo indeterminato, il lavoratore che ha richiesto il risarcimento del danno avrebbe potuto parteciparvi e risultarne vincitore. Secondo le Sezioni Unite il danno derivante da “prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative” come stabilito dall’art. 36 del Dlgs 165/2001 bisogna declinarlo come perdita di chance come testè descritta. In questo caso, quindi, il lavoratore dovrà agire ex art.1123 c.c. con conseguente onere probatorio a suo caso.

Nel caso, invece, non si tratti di un unico contratto a tempo determinato, ma di una reiterazione di contratti a termine illegittimi, al fine di agevolare il lavoratore in tema di dimostrazione e quantificazione del danno, posto che come rilevato non sussiste una perdita di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, al lavoratore deve essere riconosciuto un risarcimento parametrato all’art. 32 comma 5 della l. 183/2010.

Tuttavia la Suprema Corte ha precisato che al fine di tutelare quella uguaglianza tra lavoratore pubblico e privato richiesta dalla giurisprudenza comunitaria, per i lavoratori pubblici la cornice tra 2,5 e 12 mensilità costituisce un danno forfetizzato e presuntivo al fine di contrastare abusi. Ciò significa che il lavoratore può dimostrare l’esistenza di un maggior danno come perdita di chance ex art 1223 c.c. mentre per il lavoratore impiegato nel privato il limite stabilito dall’art. 32 è insuperabile.

Sempre al fine di compensare l’assenza di conversione del contratto di lavoro a tempo indeterminato le pronunce successive a quella della Sezioni Unite hanno precisato che nel pubblico impiego l’illegittimità dell’apposizione del termine deve essere verificata per ogni contratto di lavoro a tempo determinato per via delle conseguenze che tale accertamento può avere in merito alla quantificazione del danno posto che oltre il risarcimento danno forfettizzato, il lavoratore può ottenere un ulteriore danno da perdita di chance (Cass civ. Sez. lav., sent. 12 aprile 2017, n. 9402)

CONCLUSIONI

In conclusione si può sostenere che nel caso di contratto a tempo determinato nullo sussista una

Qualora il contratto a tempo determinato sia stato stipulato con una pubblica amministrazione o con una società partecipata, il lavoratore una volta accertata la nullità non ha diritto come nel privato alla conversione del contratto, bensì un risarcimento da perdita di chance ex art. 1223 c.c. che deve essere dimostrato dal lavoratore anche mediante l’utilizzo delle presunzioni.

Se invece si ha una reiterazione di contratti a termine illegittimi on una pubblica amministrazione o una società partecipata il lavoratore, in base ad una concezione punitiva del danno di matrice comunitaria, ha diritto ad un risarcimento che varia dalle 2,5 alle 12 mensilità indipendentemente dalla prova dell’effettivo danno patito. Può essere riconosciuto un danno ulteriore a differenza che nel lavoro privato, ma tale danno, costituente perdita di chance deve essere dimostrato dal lavoratore.

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