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L’ASSEGNO SOCIALE AL CITTADI...

L’ASSEGNO SOCIALE AL CITTADINO EXTRACOMUNITARIO

L’ASSEGNO SOCIALE AL CITTADINO EXTRACOMUNITARIO

Nozione in sintesi.

L’assegno sociale, che dal 1° gennaio 1996, a seguito della Legge n. 335 del 1995, ha sostituito la pensione sociale, originariamente prevista dall’art. 26 della Legge n. 153 del 1969, è una prestazione assistenziale erogata dall’INPS a soggetti in condizione economiche disagiate al raggiungimento di una determinata età anagrafica, prescindendo, del tutto, dall’effettivo versamento di contributi previdenziali da parte di questi ultimi.

Nel tempo, l’istituto in esame ha subito diversi interventi legislativi, che hanno inciso sugli specifici requisiti necessari ad accedervi, allo scopo principale di restringere sensibilmente la platea degli aventi diritto, secondo l’ormai consolidata prassi amministrativa di massima riduzione della spesa pubblica e di consistente contenimento dei relativi costi.

Brevi aspetti pratici.

Nell’anno corrente (2020), i requisiti di legge per richiedere ed ottenere l’assegno sociale da parte dell’INPS sono i seguenti:

A) Età anagrafica non inferiore ai 67 anni d’età;

B) Cittadinanza italiana / comunitaria (Paesi UE) o per il cittadino extracomunitario titolarità del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno) di cui all’art. 9 del D. Lgs. m. 286 del 1998 (Testo Unico Immigrazione);

C) Residenza regolare, effettiva e continuativa in Italia da almeno 10 anni prima della data d’inoltro della domanda amministrativa di concessione del beneficio all’Ente previdenziale.

D) Reddito personale pari a zero euro ed eventuale reddito coniugale non superiore ad € 5.953,87, ai fini del conseguimento dell’intero importo dell’assegno sociale (€ 459,83 x 13 mensilità) oppure reddito personale non superiore ad € 5.953,87, con previsione dell’aggiunta di eventuale reddito coniugale, per un importo familiare totale non superiore ad € 11.955,58, per l’ottenimento di una sola parte d’importo dell’assegno sociale, secondo un calcolo prestabilito dalle norme in materia.

Tra i parametri sopra indicati quello di cui alla lett. C) è di più recente introduzione, dal momento che il Legislatore del 2008 l’ha previsto, a partire dal 1° gennaio 2009, nei confronti di tutti gli aventi diritto alla prestazione assistenziale in esame.

Con tale previsione normativa si è inteso aggiungere un oggettivo criterio di radicamento temporale nel territorio italiano, consistente in un concreto e continuativo soggiorno regolare in Italia della durata di almeno dieci anni (V. Art. 20, c. 10, del D.L. n. 112 del 2008, convertito con modifiche dalla Legge n. 133 del 2008).

Peraltro, la Corte Costituzionale, interpellata in merito, ha ritenuto costituzionalmente legittima la norma sopra enunciata, laddove stabilisce che detto requisito è richiesto a tutti gli aventi diritto, con ciò presupponendo l’applicazione dello stesso, non solo allo straniero extracomunitario lungo soggiornante, ma anche ai cittadini italiani e comunitari (Cfr. Corte Cost., Ordinanza. n. 197 del 2013).

Anche la giurisprudenza di merito, così come quella di legittimità, ha avuto modo, in più occasioni, di pronunciarsi su detto presupposto giuridico, definendone, nel contempo, l’esatta interpretazione e le relative modalità di prova, con riferimento, in particolar modo, a tutte quelle fattispecie coinvolgenti gli stranieri extracomunitari.

In tal senso, merita ampia e specifica attenzione la Sentenza n. 1680/2019, emessa dalla Corte d’Appello di Milano, Sezione Lavoro, il giorno 02.10.2019 e successivamente pubblicata in data 13.01.2020, nell’ambito del procedimento n. 462/2019 RG Appello Lavoro.

Con detto provvedimento, in totale riforma della sentenza di rigetto n. 2649/2018, resa dal Tribunale di Milano – Giudice del Lavoro, si riconosceva al cittadino extracomunitario il diritto a percepire l’assegno sociale, fornendo, per quanto qui di maggiore interesse, una lettura ermeneutica del criterio del soggiorno legale, in via continuativa, per un periodo temporale non inferiore agli anni dieci, conforme all’indirizzo di legittimità negli ultimi anni affermatosi (Cfr., sul punto, Cass., Sez. Lav., sentenza n. 15170 del 02.04.2019; conf. da Cass., Sez. Lav., sentenza n. 17397 del 29.08.2016).

A questo riguardo, la corte territoriale milanese precisava, dapprima, che la titolarità del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è un requisito ben distinto e non sufficiente ex se ai fini della valida dimostrazione del legale soggiorno, in via continuativa, per almeno 10 anni nel territorio nazionale.

Ciò implica, a carico dello straniero richiedente la prestazione assistenziale in esame, l’onere di allegare ulteriori e differenti elementi integrativi della circostanza di cui sopra.

A titolo esemplificativo e non esaustivo, la Corte d’Appello meneghina poneva in risalto la documentazione anagrafica (quale il certificato storico di residenza, N.d.A.), l’estratto conto contributivo INPS, la documentazione lavorativa (quali buste paga, CUD et similia, N.d.A.) e i timbri di entrata e di uscita per l’estero, presenti sul passaporto.

Tuttavia, in seconda battuta, i giudici di secondo grado osservavano che il soggiorno legale e continuo non è configurabile in modo ostativo alla fondamentale libertà di circolazione dell’individuo, garantita, a livello nazionale, dall’art. 16, co. II, Cost. e dagli artt. 21 e 45 T.F.U.E. (ex artt. 18 e 39 del T.C.E.), a livello europeo.

Infatti, sulla scorta della linea esegetica accreditatasi in seno alla giurisprudenza della S.C., la continuità della legale permanenza in Italia del soggetto (sia questi extracomunitario, comunitario od anche italiano), con riferimento all’arco temporale decennale normativamente contemplato, deve essere indicativa di un collegamento e radicamento sul territorio nazionale, che non può, in nessun modo, tradursi in un’assoluta, costante ed ininterrotta permanenza del medesimo in Italia.

Da ciò consegue necessariamente che l’interessato può sempre avvalersi della facoltà di abbandonare, temporaneamente e per periodi relativamente contenuti, il luogo di residenza e di presenza all’interno della Repubblica Italiana, purché quest’ultimo vi faccia ritorno non appena possibile e vi mantenga, in ogni caso, il centro delle proprie relazioni familiari e sociali (V., sul concetto giuridico di stabile permanenza, Cass. Civ., sentenza n. 791 del 05.02.1985; conf. da Cass. Civ., sentenza n. 1738 del 14.03.1986).

In conclusione, riportando espressis verbis il principio di diritto, enucleato dai giudici di legittimità, emerge chiaramente che: “ la residenza è determinata dalla abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo sia l’elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale, estrinsecandosi in fatti univoci evidenzianti tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento (Cfr. Cass. n. 17397/2016, già citata).

Commento redatto dall’Avv. Federico Colangeli in data 10 aprile 2020

Per ulteriori informazioni sull’assegno sociale rivolgersi all’Avv. Francesco Meiffret (recapiti sul sito) e all’Avv. Federico Colangeli (cell. 0039.3334966282 – recapiti mail: federicocolangeli@yahoo.itavv.federicocolangeli@libero.it ).

 

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