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Tribunale di Torino: i rider d...

Tribunale di Torino: i rider di Uber Eats sono lavoratori subordinati

Tribunale di Torino: i rider di Uber Eats sono lavoratori subordinati

Tribunale di Torino sentenza 18.11.2021

Nella sentenza emessa in data 18.11.2021 il Giudice del lavoro del Tribunale di Torino stabilisce che tra i ricorrenti- un gruppo di rider- e la piattaforma Uber Eats siano intercorsi rapporti di lavoro subordinato nonostante che i primi avessero stipulato formalmente contratti di lavoro autonomo con una società terza, la Flash Road City.

Sulla base del contenuto del provvedimento della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano del 27 maggio 2020 (Tribunale Milano, sezione autonoma misure di prevenzione, 27 maggio 2020, n. 9_0) nei confronti di Uber Eats che ne ha disposto l’amministrazione giudiziaria per vari reati incluso il 603 bis c.p.1, sulla base delle chat prodotte dai ricorrenti con il legale rappresentante di FRC il contenuto delle quali è stato confermato sia dall’interrogatorio formale dello stesso legale rappresentante di FRC sia dalle dichiarazioni dei testi esaminati, il Giudice accoglie la domanda dei ricorrenti e dichiara che i contratti di lavoro autonomo con FRC sono nulli perché finalizzati ad occultare l’esistenza di contratti di lavoro subordinato con Uber Eats, la reale datrice di lavoro e beneficiaria delle prestazioni dei ricorrenti. Di conseguenza condanna Uber eats a corrispondere ai ricorrenti le differenze retributive tra quanto a loro versato e quanto avrebbero guadagnato se fossero stati inquadrati come lavoratori subordinati con la qualifica di fattorini, VI livello, in base al CCNL aziende del Terziario, della Distribuzione e dei Servizi .

Il Giudice ritiene accertato che attraverso l’applicazione obbligatoriamente fatta installare sui cellulari dei rider, Uber Eats esercitasse nei loro confronti il potere disciplinare come se fossero suoi lavoratori subordinati. Risulta, infatti, provato in giudizio che i rider che non accettavano i turni a loro assegnati, che si rifiutavano di eseguire una consegna, la prima volta venivano bloccati temporaneamente dal loro account, la seconda disconnessi definitivamente. Di fatto, quindi. venivano o sospesi disciplinarmente o licenziati in quanto con il blocco dell’account non potevano più accedere alla piattaforma e ricevere le consegne da effettuare.

Allo stesso modo, dopo due errori nella consegne o nell’eseguire la procedura informatica per segnalare la mancata consegna dell’ordine per cause addebitabili al cliente, i rider venivano disconnessi definitivamente dalla piattaforma.

Il potere disciplinare veniva altresì applicato mediante le recensioni dei clienti. Dopo poche recensioni negative sul servizio, il rider veniva disconnesso.

Il fatto che il tempo di attesa non fosse retribuito, l’obbligo a sottostare ai turni stabiliti dell’applicazione e l’impossibilità di rifiutare l’accettazione degli ordini depongono per l’assenza di una libertà genuina del rider nella scelta se lavorare o meno, caratteristica per cui in alcuni sentenze è stata esclusa la natura di rapporto di lavoro subordinato tra rider e piattaforme (si veda ad es. Corte d’Appello di Torino sentenza 26 del 4 febbraio 2019).

Appurato che non esisteva alcuna autonomia se e come lavorare e che i rider erano sottoposti ad un potere disciplinare come normali lavoratori subordinati, dalle risultanze di causa è emerso come anche dal punto di vista organizzativo l’intera esecuzione della prestazione venisse prestabilita da Uber senza lasciare alcuna autonomia decisionale in capo ai ricorrenti e agli altri rider.

Tramite l’applicazione, Uber eats stabiliva il numero dei rider che dovevano essere disponibili in ogni turno. Unilateralmente determinava le fasce orarie di lavoro dei rider. Quest’ultimi dovevano seguire le indicazioni ricevute dall’applicazione in merito al tragitto da seguire nelle consegne ed era, inoltre, vietato a loro di sostare nelle vicinanze dei ristoranti convenzionati. Attraverso un sistema di geolocalizzazione in tempo reale, il rider che non si atteneva alle istruzioni fornite, veniva sanzionato con la disconnessione temporanea del profilo la prima volta, la seconda volta con quella definitiva.

1 Articolo 603 bis Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:

1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;

2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno (3) .

[II]. Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

[III]. Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:

1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;

4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

[IV]. Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:

1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;

2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;

3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro

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