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TUTELA NELL’APPALTO

TUTELA NELL’APPALTO

LE TUTELE PREVISTE DAL LEGISLATORE NEL CASO IN CUI IL DATORE DI LAVORO NON VERSI GLI STIPENDI O I CONTRIBUTI DEI LAVORATORI IMPIEGATI NELL’APPALTO

Il presente contributo mira a fornire delle coordinate al lavoratore impiegato nell’appalto per fargli comprendere quali sono le tutele che l’ordinamento prevede nei suoi confronti nel caso in cui il datore ometta di pagargli gli stipendi o di versargli i contributi.
Innanzitutto occorre partire dalle due norme che disciplinano la fattispecie contratto d’appalto. L’art. 1655 c.c. fornisce una definizione di appalto dal punto di vista del diritto civile, ma che influenza anche la disciplina giuslavoristica (ovvero del diritto del lavoro) dell’istituto: “L’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”. L’altra norma cardine è l’art. 29 del Dlgs 276/2003 (la cd legge Biaggi), una disposizione travagliata, oggetto di continue modifiche e che attualmente prevede al II comma che “in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro e’ obbligato in solido con l’appaltatore, nonche’ con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonche’ i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento”
L’espressione obbligazione in solido (art. 1292 c.c.) significa che due o più soggetti possono essere obbligati per intero al pagamento di un medesimo debito o all’esecuzione di una prestazione. Il lavoratore, quindi, potrà, entro due anni dalla cessazione dell’appalto, richiedere non solo il pagamento degli stipendi e dei contributi al datore di lavoro, ma anche al committente.
Un esempio. Poniamo il caso che il lavoratore sia dipendente di una società che si occupa di catering e di servizio mensa. Il nostro lavoratore viene inviato, in forza di un contratto d’appalto, a lavorare per sei mesi in una mensa di un’altra impresa che si occupa di costruire autoveicoli. Il nostro lavoratore non viene pagato. Dall’estratto contributivo previdenziale scopre, inoltre, che non gli sono stati versati i contributi. In questo caso oltre ad agire nei confronti del datore di lavoro potrà agire anche nei confronti della committente, quindi nei confronti dell’impresa che si occupa di costruire gli autoveicoli.
Si è già sottolineato che, sotto il profilo temporale, il committente risponde solidalmente con il datore di lavoro entro il termine di due anni dalla cessazione dell’appalto.
Ma che cosa deve fare il lavoratore affinché possa chiedere il pagamento dei propri stipendi (inclusi la quota di tredicesima, quattordicesima se prevista nel CCNL, acronimo per contratto collettivo nazionale di lavoro, e di TFR maturati nel corso del rapporto) al committente, ovvero nel nostro caso l’impresa costruttrice di autovetture? Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. lav. Sent., 28 maggio 2016, n. 19184; Tribunale di Roma sent. 11 marzo 2014 n. 2701), trattandosi di un termine decadenziale (ovvero entro il quale deve essere fatto valere un diritto) non è sufficiente la c.d. diffida stragiudiziale -cioè una raccomandata con la quale si richiede il pagamento di quanto dovuto-, ma bisogna provvedere a depositare un ricorso in Tribunale. E’ necessario, quindi, affidarsi tempestivamente un avvocato affinché quest’ultimo possa incardinare un giudizio in Tribunale.
Se il ricorso, infatti, non viene depositato presso la cancelleria del Tribunale competente a decidere la causa, il lavoratore decade dalla possibilità di agire nei confronti del committente e potrà solamente rivalersi nei confronti dell’appaltatore.
Al fine di agevolare il compito dell’avvocato è quanto mai opportuno che il lavoratore conservi il tesserino che gli è stato eventualmente consegnato per lavorare all’interno dell’impresa committente (quindi la nostra impresa costruttrice di autoveicoli), si segni e non perda i nomi e cognomi dei suoi colleghi di lavoro con numero di telefono ed eventuali indirizzi in modo che possano essere indicati come testimoni, conservi comunicazioni scritte (what’s app, sms, mail ecc…) del proprio datore di lavoro con le quali viene a lui comunicato il luogo di lavoro o l’appalto. Non sempre è, infatti, facile per l’avvocato entrare in possesso del contratto d’appalto ed è perciò necessario che il lavoratore gli fornisca tutti gli elementi utili in giudizio per dimostrare che è stato impiegato nella sua esecuzione.
Sono necessarie alcune ulteriori precisazioni. La solidarietà si applica solo nei casi in cui il committente sia un impresa privata e non sia un ente pubblico. Senza avere alcuna pretesa esaustiva, l’orientamento prevalente e più recente della giurisprudenza giunge ad escludere l’applicabilità dell’art. 29 nel caso in cui il committente sia un organismo di carattere pubblico (si pensi ad un ministero). L’esclusione dal campo di applicazione dell’art. 29 dagli appalti in cui il committente sia un ente pubblico deriva dall’art.1 della Lege Biagi che disciplina esclusivamente il rapporto di lavoro privato e non quello del c.d. pubblico impiego (Cass. Civ. Sez. Lav.. ord. 13 luglio 2017 n. 17366, Cass. Civ. Sez. lav., sent. 23 maggio 2016 n. 10664; Cass. Civ. Sez. lav. Sent. 24.5.2016 n. 10731; Cass. Civ. Sez. lav 7.7.2014 n. 15432). In molte pronunce della Cassazione viene evidenziato come la tutela solidale rischierebbe di far lievitare i costi delle opere pubbliche in quanto vi sarebbe il rischio per gli organissmi pubblici di dover far fronte al pagamento di contributi e stipendi.
Ciò non significa che non sia prevista alcuna forma di tutela per i diritti patrimoniali dei lavoratori impegnati in un appalto pubblico. Anzi. L’art. 30 commi 5 e 6 del D.lgs n. 50/2016 (cd. Codice degli appalti), prevede una serie di controlli in capo alla stazione appaltante (committente) e di obblighi di attestazione in capo all’appaltatore o sub appaltatore volti a verificare il regolare versamento degli stipendi e dei contributi. Nel caso in cui risultino irregolarità o ritardi, la stazione appaltante trattiene il dovuto da quanto deve corrispondere all’affidatario dell’appalto provvedendo direttamente al pagamento nei confronti dei lavoratori e al versamento dei contributi alla cassa edile. E’, quindi, importante che il lavoratore impiegato in un appalto pubblico, qualora in automatico non vengano accertate le inadempienze retributive e contributive, si attivi informando i sindacati o consultando un avvocato affinché possano essere rese esecutive le tutele fin qui descritte. Per questa ipotesi la tempestività è quanto mai importante poiché, una volta esaurito quanto dovuto dalla stazione appaltante ente pubblico all’appaltatore o al sub appaltatore, il lavoratore può attivarsi solo nei confronti di quest’ultimi soggetti con un alto rischio di perdere buona parte di quanto deve essergli riconosciuto salva l’applicazione di alcune forma parziali di tutela quali il fondo di garanzia Inps.
Un’ulteriore forma di tutela del lavoratore è prevista dall’art. 1676 c.c.: “Coloro che, alle dipendenze dell’appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda.”
Questa forma di tutela è limitata, dunque, a quanto ancora dovuto dal committente all’appaltatore, ma ha il pregio di estendere l’oggetto della richiesta. L’art. 29 del Dlgs 276/2003 prevede esclusivamente la possibilità di richiedere il versamento di contributi e la corresponsione degli stipendi non versati. L’espressione utilizzata nell’art. 1676 “quanto loro dovuto” permette al lavoratore di agire nei confronti del committente per i crediti di fonte risarcitoria. La norma, infatti, può essere interpretata nel senso che il lavoratore possa richiedere al committente il corrispettivo non ancora versato all’appaltatore qualora il danno a lui cagionato trovi un nesso di occasionalità necessaria con l’attività lavorativa svolta nell’appalto.
Un esempio può essere chiarificatore. Si pensi ad un lavoratore che, nell’esecuzione di un appalto, si è rotto un braccio ed è stato accertato che l’incidente è stato causato dal mancato rispetto di alcune norme sulla sicurezza sul luogo di lavoro. Supponiamo che per questo sinistro sia stato riconosciuto un danno biologico di € 5.000,00. Orbene il lavoratore potrà agire, oltre che direttamente contro all’appaltatore datore di lavoro, anche nei confronti del committente, ma nei limiti di quanto quest’ultimo deve ancora versare all’appaltatore. Non vi è in questo caso una responsabilità solidale come descritta nell’art.29, motivo per cui se il committente ha già saldato l’intero prezzo dell’opera commissionata, nulla gli può essere richiesto.
L’art. 1676 c.c., infine, costituisce l’unica via percorribile per aggredire anche il committente nel caso in cui quest’ultimo non sia un’impresa, bensì una persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale (art. 29 dlgs 276/2003 comma 3 ter). Ad esempio un lavoratore impiegato in un appalto potrà agire solo in base all’art. 1676 c.c. nel caso in cui il committente sia un condominio come ha recentemente stabilito una sentenza del Tribunale di Torino, la n. 98 del 18 gennaio 2018. Il Giudice, richiamandosi all’attuale orientamento predominante in Cassazione, ha evidenziato come il condominio sia un ente di gestione (Cass. 10679/2015), sfornito di personalità giuridica e di autonomia patrimoniale da quella dei suoi partecipanti (i condomini) che, quindi, agiscono per scopi estranei ad attività imprenditoriali e professionali e richiedono un intervento in appalto o per eseguire opere di straordinaria od ordinaria manutenzione del condominio o per ottenere un servizio.
Sanremo 15 aprile 2018

Avv. Francesco Meiffret

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