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Cass., Sez. I, Ord. n. 17448 d...

Cass., Sez. I, Ord. n. 17448 del 19.06.2023: riconosciuto lo status giuridico di rifugiato al richiedente ridotto in schiavitù nel proprio paese d’origine

Cass., Sez. I, Ord. n. 17448 del 19.06.2023: riconosciuto lo status giuridico di rifugiato al richiedente ridotto in schiavitù nel proprio paese d’origine

Cass ord. 19 06 2023 n.17448

MASSIMA

La riduzione di una persona in stato di schiavitù configura un trattamento persecutorio, rilevante ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, non potendosi attribuire alcun rilievo alla liceità o tolleranza di quel trattamento nel Paese di provenienza del richiedente, poiché altrimenti si vanificherebbe l’essenza stessa della tutela internazionale, che è proprio quella di assicurare al richiedente, in fuga dal proprio Paese, la tutela dei suoi diritti inalienabili di persona, tra i quali rientra certamente quello alla libertà personale.

Il CASO

Una cittadina extracomunitaria, proveniente dalla Nigeria, chiedeva in Italia il riconoscimento dello status di rifugiato.

A sostegno di detta istanza, la richiedente riferiva di aver lasciato il proprio Paese di origine, dopo aver conosciuto una sua connazionale che si era dichiarata disponibile ad aiutarla ad emigrare in Europa e a trovare laggiù un lavoro che potesse consentirle di aiutare economicamente la propria famiglia rimasta in Africa.

In concreto, la predetta donna pagava le spese del viaggio alla richiedente, permettendole di giungere sulle coste italiane.

Qui un altro connazionale, presentatosi come compagno della prima, le rappresentava che la somma di denaro per emigrare rappresentava un debito a carico di lei stessa e che per estinguerlo l’unica strada praticabile era quella della prostituzione.

La richiedente la protezione internazionale, coartata psicologicamente da un giuramento rituale che aveva prestato prima della partenza e, nel contempo, timorosa di rappresaglie a danno suo e della sua famiglia, accondiscendeva.

A fronte di tale racconto, la competente Commissione Territoriale rigettava in sede amministrativa la domanda, mentre il Tribunale di Bologna con ordinanza del 23.05.2019 (N. RG 12462/2017) accoglieva in parte il ricorso, risconoscendole però la sola protezione per motivi umanitari.

Il Ministero dell’Interno appellava detta decisione per chiedere anche il disconoscimento della protezione umanitaria in via residuale, mentre la ricorrente, oltre a costituirsi nel giudizio di secondo grado, proponeva appello incidentale dell’Ordinanza già ex adverso impugnata per mancato riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria in suo favore.

La Corte d’Appello felsinea con sentenza n. 571/2022 del 23.11.2021 – 11.03.2022 respingeva sia l’appello principale, sia quello incidentale, confermando, di fatto, le precedenti statuizioni prese dal Tribunale.

Conseguentemente l’appellante in via incidentale proponeva ricorso in cassazione, affidandosi a due motivi in diritto.

IL PRECEDENTE DICTUM DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Prima di procedere alla disamina dell’Ordinanza risolutiva del caso in commento, è opportuno dare dovuto conto di una pregressa decisione della Suprema Corte che costituisce un autorevole e fondamentale precedente di riferimento per la fattispecie in queste sede trattata.

Nello specifico si richiama l’attenzione di chi legge sull’Ordinanza n. 17186 del 14.08.2020 (ud. 30.01.2020) emessa dalla Sezione II della Corte di Cassazione.

In questa pronuncia gli Ermellini affrontavano il caso di uno straniero, fuggito dalla sua patria, poiché nel villaggio natio viveva in una condizione di schiavitù, alla quale erano già stati sottoposti il padre ed il nonno e che limitava gravemente le libertà personali dell’interessato, costringendolo a smettere di proseguire gli studi e impedendogli di sposare una donna libera, non soggetta alla sua condizione di schiavitù.

Nonostante tale narrazione dei fatti da parte del richiedente l’asilo politico / protezione internazionale, sia la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Salerno – Sezione di Campobasso, sia il Tribunale del capoluogo molisano rigettavano ogni tipo di protezione concedibile nei confronti dello straniero.

In particolare, il giudice di merito, nell’escludere in toto la fondatezza della domanda di protezione internazionale, riteneva che le circostanze dedotte dal ricorrente fossero da valutarsi quali: “… fatti di rilievo locale correlati ad usanze tribali”(V. Tribunale di Campobasso, Decreto del 16.05.2019).

Per tale motivo, lo straniero ricorreva avverso tale provvedimento in cassazione, deducendo, tra i vari motivi d’impugnazione, la violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra del 28.07.1951, ratificata con Legge n. 722 del 24.07.1954 e del D. Lgs. n. 251 del 19.11.2007.

In accoglimento di questo specifico profilo di gravame, la Cassazione enunciava un fondamentale principio di diritto, definito dalla seguente massima: “In tema di protezione internazionale, la riduzione di una persona in stato di schiavitù configura un trattamento persecutorio, rilevante ai fini del riconoscimento dello < status> di rifugiato, non potendosi attribuire alcun rilievo alla liceità o alla tolleranza di quel trattamento nel Paese di provenienza del richiedente, poiché altrimenti si vanificherebbe l’essenza stessa della tutela internazionale, che è proprio quella di assicurare al richiedente, in fuga dal proprio Paese, la tutela dei suoi diritti inalienabili di persona, tra i quali certamente rientra quello alla libertà personale(Cfr. C.E.D. Cassazione, 2020).

LA SOLUZIONE ATTUALE PROPOSTA DALLA SUPREMA CORTE

Il ricorrente in cassazione esponeva due motivi di diritto a sostegno del proprio atto di gravame.

In prima battuta, si censuravano la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, con preciso riferimento alla normativa di cui al D. Lgs. n. 251 del 19.11.2007, attuativo della Direttiva 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.

In seconda battuta, si lamentava la nullità della sentenza di secondo grado derivante da vizio assoluto di motivazione per non aver la Corte d’Appello argomentato in merito alla non sussistenza dei presupposti necessari al riconoscimento dello status di rifugiato.

Entrambi i motivi venivano accolti dalla Sezione I della Suprema Corte, la quale nella propria decisione si rifaceva in linea di principio al precedente giurisprudenziale del 2020, adattandolo, tuttavia, alle peculiarità della fattispecie in studio.

I Giudici di legittimità, dopo aver dato atto che la Corte territoriale aveva escluso tout court il riconoscimento dello status di rifugiata in favore della richiedente, senza però motivare in alcun modo sul punto, ritenevano nel caso de quo ravvisabile tale condizione sulla scorta dell’argomentazione che segue.

L’art. 8 del D. Lgs. n. 251/2007 elenca i motivi di persecuzione integranti il riconoscimento dello status di rifugiato.

Tra di essi viene anche riportata la persecuzione a carico di un particolare gruppo sociale.

La prima Sezione evidenzia come le persone vittime di tratta ai fini della loro riduzione in schiavitù possano ben definirsi come nei termini di cui sopra, tanto più che quando tale traffico di esseri umani è specificatamente finalizzato allo sfruttamento della prostituzione, le vittime appartengono comunemente al genere femminile.

Pertanto, si configura completamente quanto stabilito dalla lett. d) della norma già citata, laddove definisce “particolare gruppo sociale” quello costituito da membri che condividono una caratteristica innata o una storia comune.

Tale ragionamento giuridico, non solo non veniva sviluppato dal giudice di merito, ma il medesimo escludeva anche il riconoscimento dello status di rifugiato richiesto in maniera apodittica, ovvero senza alcuna motivazione a proposito, imponendo conseguentemente la cassazione del relativo provvedimento emesso con rinvio alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione.

Avv. Federico Colangeli

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L’Avv. Colangeli si occupa prevalentemente di diritto dellimmigrazione, materia nella quale vanta unesperienza professionale pluriennale. Nel 2009 ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza presso lUniversità degli studi di Genova e lanno successivo il diploma di Master universitario per Giurista dImpresa nel medesimo Ateneo. Eiscritto allalbo degli Avvocati di Imperia dal 14 febbraio 2014. Dal 2016 è iscritto allelenco degli avvocati che prestano il patrocinio a spese dello Stato e dal 2019 è iscritto nellelenco nazionale dei difensori dufficio. Dal 2020 collabora con il portale telematico IlFamiliarista curato da Giuffrè Francis Lefebvre. L’Avv. Colangeli fornisce consulenze stragiudiziali ed assistenza giudiziale nelle seguenti materie: immigrazione, penale, locazioni, recupero crediti, diritti reali, contratti, diritto di famiglia, responsabilità civile, condominio ed infortunistica stradale. Collabora infine con lo Studio legale dellAvv. Francesco Meiffret di Sanremo (IM) dal 2015.

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